Storia e coscienza di classe di György Lukács è stato pubblicato nel 1923. Non si tratta di un testo organico, ma di una raccolta di articoli scritti in anni precedenti e in circostanze diverse, esclusi i saggi La Reificazione e Considerazioni metodologiche, composti appositamente per questo libro. Proprio questi due ultimi saggi – soprattutto il primo – hanno avuto un’influenza vastissima. Lo stesso Lukács ammette che (Prefazione del 1967) il libro rappresenta una tendenza all’interno della storia del marxismo, la tendenza a interpretare il marxismo esclusivamente come teoria della società, come filosofia sociale; la tendenza a ricondurre ogni fatto alla cultura, alla psicologia, all’antropologia, eccetera, escludendo del tutto l’aspetto naturale e passivo. Questa tendenza, dice Lukács, era già presente nel marxismo già prima dell’apparizione di Storia e coscienza di classe.
Oggi, anche grazie ad una certa influenza del mio libro, dice Lukács, questa tendenza si riscontra in modo prepotente nell’esistenzialismo francese. La caratterizzazione umanista e sociale dell’esistenzialismo francese non la si deve esclusivamente al libro di Lukács, ma questo libro ha avuto il suo peso, se si considera non solo la comune lignée hegeliana, ma anche la totale adesione al sociologismo di Storia e coscienza di classe. In vari passi del mio libro, dice Lukács, si asserisce che la natura è una categoria sociale, e che ciò che conta, ai fini dell’analisi e del rilevamento delle cause dei fatti concreti, è esclusivamente l’aspetto sociale. Infine, dice Lukács, se nel mio libro Hegel ha rimpiazzato Marx, lo si deve allo sviluppo e al rinnovamento della dialettica di Hegel attivi negli anni Venti.
Il tema più importante del libro è sicuramente quello dell’estraneazione. Il problema dell’estraneazione, dice Lukács, viene trattato per la prima volta dopo Marx come questione centrale della critica al capitalismo. Le sue radici storico-teoriche sono rinvenute nella dialettica hegeliana. Naturalmente, dice Lukács, il tema era nell’aria. Alcuni anni dopo, esso passò al centro delle discussioni filosofiche per opera di Essere e tempo di Heidegger, e ancora oggi non ha perso questa posizione, essenzialmente per influenza di Sartre, della sua scuola e dei suoi oppositori. La questione filologica avanzata da Lucien Goldmann, dice Lukács, quando scorge qua e là nell’opera di Heidegger una certa replica polemica al mio libro – che naturalmente non viene citato – può qui essere trascurata. Affermare che il tema era nell’aria è più che sufficiente per mettere in chiaro lo sviluppo ulteriore, la mescolanza di temi marxisti ed esistenzialisti, sopratutto in Francia subito dopo la seconda guerra mondiale. Aldilà delle influenze, ciò che non si può non riconoscere, dice Lukács, è che il tema dell’estraneazione dell’uomo come problema del tempo in cui viviamo venne riconosciuto centrale da pensatori sia di destra sia di sinistra.
Se l’influenza sull’esistenzialismo francese in generale può essere riconosciuta, più problematico è il rapporto con Essere e tempo.
Mario Spinella scrive una Introduzione all’edizione Mondadori (1972) di Storia e coscienza di classe, nelle quale riprende la questione sollevata da Lucien Goldmann. Storia e coscienza di classe, dice Spinella, ha giocato un ruolo nella stessa genesi di una delle maggiori opere del secolo: Essere e tempo. L’influenza del libro di Lukács si è trasmessa alla scuola di Francoforte, a Dialettica dell’illuminismo di Adorno, a L’uomo a una dimensione di Marcuse, e oltre, giù giù sino ad alcuni dei momenti di maggiore interesse del dibattito attuale sul marxismo («Praxis», «L’homme et la société», «Aut Aut», «Utopia»), fino ad estendersi a tutta la contestazione del 1968.
Anche Etienne Balibar (La filosofia di Marx) riconosce che il libro di Lukács, soprattutto la teoria della reificazione, ha esercitato un’influenza considerevole sulla filosofia del XX secolo. Da un lato, dice Balibar, ha dato origine a buona parte dei movimenti critici del XX secolo (in particolare a numerosi temi prediletti dalla scuola di Francoforte, da Horkheimer e Adorno a Habermas, che concernono la critica della «razionalità moderna», o «borghese», ma anche la critica della tecnica e della scienza come progetti di naturalizzazione della storia del «mondo vissuto»). Dall’altro, dice Balibar, Lucien Goldman ha potuto sostenere in maniera convincente che nei paragrafi del libro di Heidegger, Essere e tempo (1927), dedicati alla storicità, sono presenti dei riferimenti letterali a Storia e coscienza di classe. Bisognerebbe considerare allora, dice Balibar, che questo libro di Heidegger è, per una parte, una risposta allo «storicismo rivoluzionario» che si esprime nella teoria della reificazione, ma anche, forse, l’inizio di una ripresa o di un recupero di alcuni temi di Lukács: in particolare, nella teoria dell’anonimato sociale (il «Si»), che caratterizzerebbe la vita «inautentica», e, più tardi, nella teoria del «soggiogamento» del mondo da parte della tecnica strumentale. Alcuni indizi e una vaga risposta di Heidegger si possono rinvenire nella Lettera sull’Umanismo, scritta nel 1949 e volta a chiarire la differenza tra l’esistenzialismo francese ed Essere e tempo.
Nel 1930 Lukács divenne collaboratore dell’Istituto Marx-Engels di Mosca, qui poté leggere il testo dei Manoscritti economico-filosofici. Dopo la lettura, dice Lukács, subì un vero e proprio choc. Tutti i pregiudizi idealistici di Storia e coscienza di classe caddero immediatamente. Certo, dice Lukács, avrei potuto trovare anche nei testi di Marx già letti ciò che mi scosse sul piano teorico. È tuttavia un fatto che ciò non accadde, palesemente perché, continua Lukács, lessi queste opere secondo un’interpretazione hegeliana, e un simile choc poté essere esercitato soltanto da un testo completamente nuovo. In ogni caso, dice Lukács, ricordo ancora oggi l’impressione sconvolgente che fecero su di me le parole di Marx sull’oggettività. Poi nel 1967 arriva questa Prefazione, in cui la presa di distanza da Storia e coscienza di classe diventa ancora maggiore.
La questione ruota proprio intorno all’estraneazione (alienazione, reificazione).
In Hegel, scrive Lukács nella Prefazione, il problema dell’estraneazione [Entfremdung] appare per la prima volta come problema fondamentale della posizione dell’uomo nel mondo e rispetto al mondo. Essa è tuttavia in lui, con il termine di alienazione (Entäusserung), al tempo stesso la posizione di qualsiasi oggettività [Gegenständlichkeit]. L’estraneazione [Entfremdung] si identifica perciò, se viene coerentemente concepita, con il porre l’oggettività [Gegenständlichkeit]. Il soggetto-obietto [Subjekt-Objekt] identico deve quindi, nella misura in cui supera [aufhebt] l’estraneazione [Entfremdung], superare [aufheben] al tempo stesso l’oggettività [Gegenständlichkeit]. Poiché tuttavia l’oggetto [Gegenstand], la cosa [Ding] in Hegel, esiste [existiert] soltanto come alienazione [Entäusserung] dell’autocoscienza [Selbstbewußtseins], la sua riassunzione nel soggetto rappresenterebbe la fine della realtà effettiva [gegenständlichen Wirklichkeit], quindi della realtà in generale [Wirklichkeit überhaupt].
Ora, continua Lukács, Storia e coscienza di classe segue Hegel nella misura in cui anche in questo libro l’estraneazione [Entfremdung] viene posta sullo stesso piano dell’oggettivazione [Vergegenständlichung] (per fa uso della terminologia dei Manoscritti economico-filosofici di Marx). Questo fondamentale e grossolano errore ha sicuramente contribuito in notevole misura al successo di Storia e coscienza di classe.
Lo smascheramento nel pensiero dell’estraneazione [Entfremdung] era allora nell’aria – ribadisce Lukács; ben presto esso divenne una questione centrale della critica della cultura che indagava la condizione dell’uomo nel capitalismo del presente. Per la critica filosofico-borghese della cultura, basti pensare a Heidegger. Era del tutto ovvio sublimare la critica sociale in una critica puramente filosofica, fare dell’estraneazione [Entfremdung], per sua essenza sociale, un’eterna «contition humaine», usando un termine invalso solo più tardi. È chiaro che questo modo di presentare le cose in Storia e coscienza di classe, benché avesse di mira tutt’altro, anzi l’opposto, favorì atteggiamenti di questo genere. L’estraneazione [Entfremdung] identificata con l’oggettivazione [Vergegenständlichung] era bensì intesa come una categoria sociale – il socialismo avrebbe dovuto appunto superarla [Entfremdung aufheben] – e tuttavia l’insuperabilità [unaufhebbare Existenz] della sua esistenza nelle società classiste e anzitutto la sua fondazione filosofica la rendevano vicina alla «condition humaine».
Ricondurre l’alienazione ad una condizione umana generale è appunto la conseguenza di questa falsa identificazione tra concetti fondamentali opposti. Bisogna riconoscere – continua Lukács – che l’oggettivazione [Vergegenständlichung] è effettivamente un modo insuperabile di estrinsecazione [unaufhebbare Äusserungsweis] nella vita sociale degli uomini. Se si considera che ogni obiettivazione [Objektivation] nella prassi, e quindi anzitutto il lavoro stesso, è un’oggettivazione [Vergegenständlichung], che ogni modo di espressione umana, e quindi anche la lingua, i pensieri e i sentimenti umani, sono oggettivati [vergegenständlicht], ecc., è allora evidente che abbiamo a che fare con una forma universalmente umana dei rapporti degli uomini tra loro. Come tale, l’oggettivazione [Vergegenständlichung] è naturalmente priva di un indice di valore; il vero è un’oggettivazione [Vergegenständlichung] allo stesso titolo del falso, la liberazione non meno dell’asservimento. Solo se le forme oggettivate [vergegenständlichten] nella società ricevono funzioni tali da mettere in contrasto l’essenza [Wesen] dell’uomo con il suo essere [Sein], soggiogando, deformando e lacerando l’essenza umana attraverso l’essere sociale, sorge il rapporto oggettivante sociale [objektiv gesellschaftliche] di estraneazione [Entfremdung] e, come sua conseguenza necessaria, l’estraneazione [Entfremdung] interna in tutti i suoi caratteri soggettivi. Questa dualità, continua Lukács, non venne riconosciuta in Storia e coscienza di classe. Di qui la falsità e la stortura della sua concezione storico-filosofica fondamentale. (Notiamo in margine, dice Lukács, che anche il fenomeno della reificazione [Verdinglichung], strettamente affine all’estraneazione [Entfremdung], ma non identico a essa né socialmente né concettualmente, viene usato egualmente come suo sinonimo).
Dove risiede l’errore che Lukács si attribuisce?
Per Hegel ogni oggettivazione – il mondo là fuori – è alienazione. Il superamento dell’alienazione implica un rilevamento dell’oggettivazione – del mondo là fuori. Il mondo là fuori – lo scandalo dell’oggettività come tale, dirà Marx nei Manoscritti – in quanto mondo oggettivo, deve essere soppresso. L’oggetto è una nullità.
Ma come è possibile sopprimere il mondo là fuori?
Per Hegel il mondo là fuori non è il mondo effettivo. L’oggetto è soggetto alienato. La soppressione dell’alienazione è una soppressione del soggetto alienato. Tutto parte dal soggetto e ritorna al soggetto, in un circolo chiuso in cui il mondo là fuori non conta nulla. L’alienazione è una mera faccenda dell’uomo con se stesso, o una faccenda dell’uomo con la società, o una questione psicologica personale, una turba. L’alienazione deriva dal fatto che l’uomo si scinde, si divide, si contrappone, contrappone a sé il suo altro alienato, e in quest’altro si rispecchia. Uscire dall’alienazione significa rilevare questo altro alienato, riportarlo in sé, congiungerlo con l’altro da cui si è separato.
Nella Prefazione Lukács segue passo passo i Manoscritti di Marx.
Poiché Hegel identifica l’uomo con l’autocoscienza (Marx, Manoscritti), l’oggetto estraniato non è altro l’autocoscienza oggettiva*. L’alienazione non è altro che pensiero dell’alienazione, pensiero alienato, espressione priva di contenuto e di realtà. La soppressione dell’alienazione non è altro che la soppressione di una condizione umana alienata. L’alienazione non ha a che fare col mondo là fuori, non ha a che fare con la storia effettiva, con la storia, per esempio, dell’espropriazione, con il plusvalore estorto, eccetera. Dunque, il superamento dell’alienazione non implica un superamento di quelle condizioni della realtà effettiva che hanno determinato, e sono effettivamente, l’alienazione stessa. Per Hegel l’alienazione parte dalla coscienza, riguarda la coscienza, e si risolve nella coscienza. Per Marx l’alienazione è un fatto della realtà effettiva, che ha una rilevanza sulla coscienza, ma che non si risolve con una presa di coscienza, ma si risolve con una presa di posizione nei confronti della realtà effettiva, con un ribaltamento del mondo là fuori. L’alienazione, come in Hegel, deriva dal fatto che l’uomo si scinde, si divide, si contrappone al suo altro. In Marx l’altro che si contrappone è ancora il se stesso, ma non nella forma della coscienza, bensì nella forma del prodotto estorto, del capitale morto accumulato e presente come fabbrica, come capitalista. Uscire dall’alienazione, come in Hegel, significa rilevare questo altro alienato, riportarlo in sé, congiungerlo con l’altro da cui si è separato. Significa riappropriarsi delle condizioni di lavoro estorte, e contrapposte al lavoratore come capitale.
Per Hegel l’oggettivazione – il mondo là fuori – è sempre alienazione. Per Marx l’oggettivazione non è di per sé alienazione. Diventa alienazione solo in determinate circostanze, e in ogni caso l’oggettivazione è la causa dell’alienazione, ma non l’alienazione stessa. Rimossa la causa viene meno l’alienazione. Per Hegel non c’è fine all’alienazione. Ogni volta che l’autocoscienza mette il piedino fuori e si affaccia alla storia si aliena.
Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx esprime in modo chiaro la sua differenza da Hegel.
Tutta intera la storia dell’alienazione [Entäußerungsgeschichte] e tutta intera la revoca di questa alienazione [Zurücknahme der Entäußerung] non è quindi altro che la storia della produzione del pensiero astratto, cioè assoluto, del pensiero logico speculativo. L’estraniazione [Entfremdung] che costituisce perciò l’interesse proprio di questa alienazione [Entäusserung] e della soppressione [Aufhebung] di questa alienazione [Entäusserung], è l’opposizione, all’interno dello stesso pensiero, tra l’in sé e il per sé, tra la coscienza e l’autocoscienza, tra l’oggetto e il soggetto, cioè è l’opposizione tra il pensiero astratto e la realtà [Wirklichkeit] sensibile e la sensibilità reale.
Come essenza posta e quindi da sopprimere dell’estraniazione [Entfremdung] vale per Hegel non già il fatto che l’essere umano si oggettivizzi [vergegenständlicht] in modo disumano, in opposizione a se stesso, ma il fatto che si oggettivizzi [vergegenständlicht] differenziandosi e opponendosi al pensiero astratto.
L’appropriazione delle forze essenziali dell’uomo, diventate oggetti e oggetti estranei [fremden], è dunque prima di tutto solo un’appropriazione [Aneignung] che ha luogo nella coscienza, nel pensiero puro, cioè nell’astrazione, è l’appropriazione di questi oggetti come idee e movimenti ideali.
L’oggettività [Gegenständlichkeit] come tale vale come rapporto umano estraniato [entfremdetes], non corrispondente all’essere umano, alla autocoscienza. La nuova appropriazione dell’essere umano oggettivo, fatto estraneo [fremd] sotto la determinazione dell’estraniazione [Entfremdung], ha dunque il significato di sopprimere non soltanto l’estraniazione [Entfremdung], ma anche l’oggettività [Gegenständlichkeit]; onde l’uomo vale come un essere non oggettivo [nicht-gegenständliches] spiritualistico.
Alla fine della Prefazione Lukács chiarisce che l’oggettivazione è un modo naturale – positivo o negativo – di dominio umano del mondo, mentre l’estraneazione è un tipo particolare di oggettivazione che si realizza in determinate circostanze sociali. Con questa assunzione, dice Lukács, sono crollati definitivamente i fondamenti teorici di ciò che rappresentava il carattere particolare di Storia e coscienza di classe. Questo libro mi divenne completamente estraneo.
Lukács chiude così la critica al suo libro più fortunato, non prima di aver detto due parole sulla questione del rispecchiamento.
Il lavoro più primitivo, scrive Lukács, lo stesso atto di raccogliere pietre da parte dell’uomo delle origini, presuppone un corretto rispecchiamento della realtà. Infatti, nessuna posizione teleologica è eseguibile con successo senza un’immagine, per quanto possa essere primitiva, della realtà che essa ha praticamente di mira.
Il problema del differimento, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra.
Arrivati a questo punto non guasta ricordare ciò che Heidegger scrisse su questo tema (commentando i Manoscritti) nella Lettera sull’umanismo.
Nei Manoscritti, riferendosi alla estraneazione, così com’è intesa da Hegel, Marx scrive quanto segue: Come essenza posta e quindi da sopprimere dell’estraniazione vale [per Hegel] non già il fatto che l’essere umano si oggettivizzi in modo disumano, in opposizione a se stesso, ma il fatto che si oggettivizza differenziandosi e opponendosi al pensiero astratto.
Rispetto a questa disumanità Heidegger muove questo appunto.
Partendo da dove, e come, dice Heidegger, si determina l’essenza dell’uomo? Marx pretende che l’«uomo umano» venga conosciuto e riconosciuto. Egli lo trova nella «società». Per lui l’uomo «sociale» è l’uomo «naturale». Nella «società» la «natura» dell’uomo, cioè la «totalità dei bisogni naturali» (nutrimento, vestiario, riproduzione, sussistenza economica), è assicurata in modo uniforme.
La cautela di Heidegger è enorme. Niente è dato per acquisito. Sia la «società», sia il «sociale», persino la «totalità dei bisogni naturali», non sono dati acquisiti, non possono essere assolutamente considerati come presupposti, deve essere dimostrata la loro apparizione, la loro sopravvenienza. Allo stesso modo deve essere dimostrata, acquisita, l’umanità dell’uomo, prima di parlare di disumanità, altrimenti si rischia di introdurre nella dimostrazione un presupposto dogmatico.
In effetti, dice Heidegger, sia l’umanismo antico, sia l’umanismo di Marx, sia l’umanismo di Sartre concordano sul fatto che l’humanitas dell’homo humanus è determinata in riferimento a un’interpretazione già stabilita della natura, della storia, del mondo, del fondamento del mondo, cioè dell’ente nella sua totalità.
Questa totalità deve essere acquisita, non la si può dare per scontata, non si può dar per scontato cosa sia natura, cosa sia uomo, cosa sia fisico, cosa sia teorico, eccetera. Se li si considera come acquisiti si innesta la propria dimostrazione su dati accolti acriticamente.
Nella Prefazione Lukács dà per acquisto ciò che Marx rimprovera a Hegel, cioè che è l’alienazione dell’autocoscienza che pone la «cosalità».
Bisognerebbe verificare se in effetti in Hegel è davvero l’autocoscienza che è all’inizio del processo, perché se così non fosse, se fosse vero ciò che scrive Hyppolite, ovvero che per Hegel all’inizio non c’è né l’autocoscienza né l’uomo, ma che all’inizio c’è l’essere (l’assoluto), e che questo inizio è già all’inizio diviso, differito, anzi, che l’inizio inizia proprio nel differimento e come differimento, tutta l’autocritica di Lukács dovrebbe essere rivista.
* Il testo originale dei Manoscritti è il seguente:
“Der entfremdete Gegenstand, die entfremdete Wesenswirklichkeit des Menschen ist – da Hegel den Menschen = Selbstbewußtsein setzt – nichts als Bewußtsein, nun den Gedanke den Entfremdung, ihr abstrakter und darum inhaltsloser und unwirklichen Ausdruck, die Negation. Die Aufhebung der Entäußerung ist daher ebenfalls nichts als eine abstrakte, inhaltslose Aufhebung jener inhaltslosen Abstraktion, die Negation der Negation. Die inhaltsvolle, lebendige, sinnliche, konkrete Tätigkeit den Selbstvergegenständlichung wird daher zu ihrer bloßen Abstraktion, den absoluten Negativität, eine Abstraktion, die wieder als solche fixiert und als eine selbständige Tätigkeit, als die Tätigkeit schlechthin gedacht wird. Weil diese sogenannte Negativität nichts andres ist als die abstrakte, inhaltslose Form jenes wirklichen lebendigen Aktes, darum kann auch ihn Inhalt bloß ein formeller, durch die Abstraktion von allem Inhalt erzeugter Inhalt sein. Es sind daher die allgemeinen, abstrakten, jedem Inhalt angehörigen, darum auch sowohl gegen allen Inhalt gleichgültigen, als eben darum für jeden Inhalt gültigen Abstraktionsformen, die Denkformen, die logischen Kategorien, losgerissen vom wirklichen Geist und von der wirklichen Natur. (Wir werden den logischen Inhalt der absoluten Negativität weiter unten entwickeln.)
La traduzione italiana del 1950 di Galvano della Volpe per Editori Riuniti è la seguente:
“L’oggetto alienato, l’alienata realtà dell’essere dell’uomo non è – poiché Hegel pone l’uomo = autocoscienza – che coscienza o soltanto il pensiero dell’alienazione, la sua espressione astratta e però senza contenuto e irreale, la negazione”.
La traduzione italiana del 1949 di Nerberto Bobbio per Einaudi è la seguente:
“Poiché Hegel identifica l’uomo con l’autocoscienza, l’oggetto estraniato, la realtà estraniata dell’essere dell’uomo non è altro che la coscienza, il pensiero dell’estraneazione, la sua espressione astratta e quindi priva di contenuto e di realtà, la negazione.”
Nel suo Giovane Marx (Zur philosophischen Entwicklung des jungen Marx (1840-1844), 1954), Lukács cita lo stesso passo dei manoscritti. Il testo originale è il seguente (p.117):
“Die Hauptsache ist, daß der Gegenstand des Bewußtseins nichts anderes als das Selbstbewußtsein oder daß der Gegenstand nur das vergegenständlichte Selbstbewußtsein, das Selbstbewußtsein als Gegenstand ist . . . Die Gegenständlichkeit als solche gilt für ein entfremdetes, dem menschlichen Wesen. dem Selbstbewußtsein nicht entsprechendes Verhältnis des Menschen. Die Wiederaneignung des als fremd, unter der Bestimmung der Entfremdung erzeugten gegenständlichen Wesens des Menschen hat also nicht nur die Bedeutung, die Entfremdung, sondern die Gegenständlichkeit aufzuheben.”
La traduzione italiana di questo passo di Lukács (Angelo Bolaffi, Editori riuniti 1978) è la seguente:
“La cosa principale è che l’oggetto della coscienza non è altro che autocoscienza, o che l’oggetto è soltanto l’autocoscienza oggettiva, l’autocoscienza come oggetto […]. L’oggettività come tale vale come un rapporto umano alienato, inadeguato all’essenza umana, all’autocoscienza. Il recupero dell’essere umano estraneo, oggettivo, prodotto sotto il segno dell’alienazione, non ha quindi soltanto il significato di sopprimere l’alienazione, ma anche l’oggettività”.