Siamo giunti alla fine delle lotte operaie iniziate con l’Autunno Caldo che avevamo chi dieci, chi tredici, chi quattordici anni. Consapevoli abbastanza per aver capito quello che era accaduto prima, indenni perché avevamo superato il 7 Aprile 1979 senza comprometterci. Il debito contratto con la storia venne presentato all’incasso con gli interessi negli anni Novanta.
Vidi Simone per la prima volta nel 1989, al campeggio Sant’Antonio di Isola di Capo Rizzuto, dove si manifestava contro l’arrivo degli F16 della Nato. Saliva dalla spiaggia in costume, i capelli rossi lambivano le spalle lentigginose. Glieli tagliai nel 1991 (o 92), in via Melloni a Bologna, nell’appartamentino in affitto a equo canone, di fianco al cinema Apollo.
Se qualche volta mi è sembrato di poter dissentire da qualche sua uscita, come per la protesta dei vassoi del 1990 (o 91?), quando ci opponemmo alla privatizzazione della mensa universitaria, l’ho sempre considerato il più vicino tra gli autonomi. Ci toccò, a me e a Sergio, intervenire in tribunale per quel suo gesto gratuito che la Digos non digerì. Queste differenze non hanno mai intaccato la nostra amicizia. Una cosa rara nel nostro ambiente universitario, dove si arrivava a fondare collettivi unipersonali, pur di diventarne i capi carismatici.
L’aeroporto Sant’Anna di Crotone era stato scelto dal ministro della Difesa Valerio Zanone per ospitare 78 caccia bombardieri F16. Il 4 agosto del 1990 tagliammo la rete di recinzione e occupammo le piste dell’aeroporto. Poi ci fu la sfortunata manifestazione a Catanzaro, la fuga nei campi, la cattura e l’arresto. Dei giorni che seguirono ricordo le lunghe attese a Catanzaro, l’affetto della mamma e del papà di Davide che ospitarono me, Peppe e Antonietta nella loro casa di Nicastro, i telegrammi inviati a Simone, gli spostamenti in treno fino a Mirto, dove il padre di Peppe ci aiutò a contattare Giacomo Mancini per la firma di una petizione.
Il 21 ottobre 1998 Massimo d’Alema fu eletto presidente del consiglio. Il 9 dicembre dello stesso anno fu abolita la legge sull’equo canone. Il periodo iniziato con l’occupazione dello studentato del pilastro nella primavera del 1989 si concluse con questo sfratto, e con un arrivederci al collettivo di scienze politiche che aveva promosso l’occupazione – Alessandra, Donatone, Albertone, Donatino, Mirella, Massimo, Angelo, Katia, Meco, Giorgione, Pasquale e Filippo, Simone ~ Simone.
Provavamo ad accedere a quella medietà proletaria che ci avrebbe reso degli studenti a tutti gli effetti, ma venivamo rimbalzati in strada, a girare, lui, con la sua busta contenente il guardaroba ridotto e il tazebau con lo schizzo della rivista che avremmo scritto insieme; io con lo zaino a tracolla, con lo stesso rancido corredo che consegnavo ogni tanto alla lavatrice di Pinuccio e Livia.
Guardavamo agli anni Settanta, al neo-capitalismo e allo Stato-Piano, al progetto che trasformò tutta la società in fabbrica, al fine di aumentare enormemente i livelli di produttività.
Puntavamo allo Stato sociale, all’Operaio Sociale, volevamo andare a Parigi, conoscere gli scampati al processo Sette Aprile, volevamo incontrare Deleuze e Negri. Ma lo stato sociale non c’era più, le macerie erano davanti ai nostri occhi. I tentativi di entrare all’università, di avere un alloggio, di rigare dritto, si risolvevano sempre in fallimenti, perché quelle macerie eravamo noi.
La Pantera guardava agli anni Ottanta, alla deregulation, alla Reaganomics, al divorzio tra tesoro e banca centrale, al debito pubblico, agli strozzini della borsa, e ci vedeva l’identica frode svergognata, l’identica smania di arricchirsi non con la produzione, ma rubando le ricchezze altrui già esistenti, come se dal tempo di Luigi Filippo, raccontato da Marx nelle Lotte di classe in Francia, non fosse passato che un attimo.
La Pantera tolse ogni alibi all’Autonomia, che così sparì, nonostante le ridicole metamorfosi.
Quando finalmente Simone riuscì ad andare a Parigi era ormai tutto finito. Non c’erano più Foucault e Roland Barthes, non c’erano Hyppolite e Lacan, non c’erano né utopia né mito. Guardava attorno stupito. Davvero questo è lo spirito del secolo? Davvero questo è il marxismo creativo di cui viviamo? Nulla più di quell’attività continua di franco tiratore, di sabotatore, di assenteista, di deviante, di cui aveva letto in Dominio e Sabotaggio, gli appariva vero, e anche Toni Negri era ormai solo un vecchio con la gotta.
Tornò indietro segnato per sempre.
foto di Luciano Nadalini