Il nostro problema è il capitalismo, qualsiasi cosa esso sia diventato in questi anni. Esso si rafforza per via di un’accumulazione «originaria» che si compie tutti i santi giorni. Ho messo tra virgolette la parola origine perché è su di essa che ci si spacca la testa e ci si divide.
Si dice che l’origine delle nostre disgrazie vada cercata aldilà del nostro ambito cosiddetto sovrano. Lo si ripete con così tanta insistenza che ormai nessuno dubita della sua consistenza.
Come contestare che, per effetto di circostanze che non sto qui ad elencare, qualcosa come un ambito giurisdizionale, linguistico, fiscale, eccetera, divide gli operai e le operaie tra chi si trova di qua e chi di là dalle Alpi. E come contestare che, entro questi margini (giuridici, fiscali e linguistici), agisce una disciplina giuridica e fiscale diversa da quella che agisce fuori da questi margini. Come negare, per esempio – e gli esempi si accumulano di giorno in giorno -, come negare che all’indomani della Grande Recessione la Germania ha sfruttato un meccanismo fiscale (aumento dell’Iva) per rendere più a buon mercato le sue merci, rispetto a quelle di paesi concorrenti.
Tuttavia, questi margini, usati per identificare ciò che si chiama sovranità, non sono mai stati impermeabili. Non sono, di diritto e a priori, impermeabili. Bisogna ficcarselo bene in testa, e non raccontare panzane. La sovranità è un effetto. Potete girare l’Italia in lungo e in largo, non troverete mai qualcosa che abbia la faccia della sovranità. E non venite a dire che la sovranità è formale, normativa, costituzionale eccetera, perché poi bisogna spiegare alle milizie dove piazzare i cannoni, bisogna indicargli il margine con il dito. E vi assicuro, non è cosa da poco, ci vuole un’arguzia volpina.
Ma non voglio nemmeno dire, tirando corto, che questi margini coincidono esattamente con la linea di fuoco che corrisponde alle arcinote 3 miglia marine, eccetera. Sarebbe voler farsi beffe della Legge, con un giochino empirico da apprendista stregone.
Alcuni (tanti) dicono che l’origine del nostro sfruttamento sia la moneta. Come dargli torto! Come non vedere che la moneta circoscrive debitori e creditori, ed è usata per spostare ricchezza dagli uni agli altri. Essa non è quel mezzo che adopera il ragioniere per compilare il conto profitti e perdite. Come non vedere all’opera nella sua origine, dunque nella sua fonte di emissione e controllo, un effetto performativo, tale per cui la moneta produce quel che si sostiene essa misuri.
Quando si dice, con una insopportabile ingegnosità positivista, che puoi fare debiti 1) se hai la capacità di ripagarli negli anni successivi, 2) se fai investimenti capaci di realizzare un ritorno ragionevole sul capitale investito e 3) se hai la mera necessità di finanziare il capitale circolante a causa di una forte crescita; quando si dice tutto ciò, e lo si sente dire un po’ da tutti, ventriloquato da noi stessi, quando presentiamo le nostre contro-prove, fatte di tabelline e grafici compilati con lo stesso mezzo; quando si dice tutto ciò si nasconde (consapevolmente o meno) il dato di fatto incontrovertibile che la moneta non è uno strumento per fare i conti o tenere la riserva, che non esiste alcuna identità numeraria al di sotto del fare, nessuna identità monetaria che preesiste agli affari, compresi gli affari delle banche centrali.
E, ancora, non voglio nemmeno dire, sarebbe davvero ingenuo, che non ci sono conti da fare e da tenere. Conti che si possono fare e tenere solo con una moneta di conto, e che questa moneta deve mantenersi in una unità – seppur fittizia – e che questa finzione, e il nostro rapporto con essa, è un problema grande quanto una casa, che non si risolve stando sulle sponde opposte di un nuovo realismo riveduto e corretto o di un empirismo estremo.
Allora parliamo di questa costanza numeraria, parliamo di questa finzione e dei suoi effetti finzionali, di reificazione, di circolazione e disseminazione, circolazione e disseminazione che hanno iniziato a corrompere ogni istanza sovrana, prima ancora che essa si costituisse, si costituzionalizzasse, e che si è potuta costituzionalizzare corrompendosi, lasciandosi invasare.
È giusto mettere sullo stesso piatto Moneta e Sovranità, Sovranità e Libertà, ma, a questo punto, sullo stesso piatto bisogna calare tutto ciò che, nella corso del tempo, ha funzionato come fondamento, come principio, come architrave, tutto ciò che ha designato l’invariante di una presenza: Essenza, Sostanza, Soggetto, Coscienza, Uomo, Dio.