Non è vero che Marx non si sia occupato di politica. Se si sfogliano i suoi appunti o i suoi tentativi più riusciti di scrivere il benedetto sistema – i Lineamenti –, si trovano pagine di primo livello di (cosiddetta) politica.
In un breve capitolo del volume I dei Lineamenti, da p. 207 a p. 221, Marx parla appunto della politica, dei concetti centrali della politica borghese, Sovranità e Libertà, e dice: Cosa sono la Sovranità e la Libertà? Non sono niente. Non c’è Sovranità e non c’è Libertà. Gli agenti economici sono gli uni legati agli altri in una catena di dipendenze. Solo per quei boriosi di socialisti francesi sono immaginabili agenti liberi e sovrani indipendenti da ogni relazione con gli altri agenti. Per Proudhon, per esempio, che aspira a filosofare alla tedesca, la libertà è un affare dell’uomo, è una proprietà che bisogna restituire all’uomo, una condizione – uno stato – che è represso, inibito, impedito dalla società borghese, impedito dagli affari, dal commercio, dalla polizia, dal vaccino, dalla scienza, etc., diremmo oggi – il rosario lo conosciamo.
Ebbene, dice Marx, Proudhon è uno spocchioso, e quando scimmiotta Hegel è uno spocchioso al quadrato. Prendete gli empiristi inglesi, dice. Non si fanno tante storie. Non hanno difficoltà a riconoscere che negli affari non c’è libertà e non c’è sovranità. Nessun narcisismo impedisce loro di dire che l’uomo non ha alcuna sovranità e libertà, che sovranità e libertà, e qui sta il genio inglese, non stanno in mano a nessuno, men che meno a un essere trascendente. La libertà è in una mano invisibile, anonima, sta in mano al mercato, ed è oggettivata in una cosa che portiamo in tasca e che parla a tutti con la stessa indifferenza: il denaro.
Marx non sarebbe la persona detestabile che è, ovvero il tedesco che in fondo è, se non ribaltasse e poi complicasse questa importante e imprescindibile acquisizione inglese.
Quale impudenza, questi inglesi!, dice. Hanno rubato il potere al cielo e lo hanno portato sulla terra, e non lo hanno messo nelle mani dell’uomo, non hanno fatto dell’uomo un sovrano, libero di imporre agli altri il suo volere.
Nei Lineamenti scrive quanto segue: Un lavoratore che acquista una merce di 3 scellini si presenta al venditore nella medesima funzione, nella medesima uguaglianza – nella forma di 3 scellini – del Re che faccia lo stesso acquisto. Qualsiasi differenza tra loro è cancellata. Il venditore in quanto tale si presenta soltanto come possessore di una merce del prezzo di 3 scellini, sicché entrambi sono completamente uguali. Gli inglesi scoprono la libertà dalla soggezione antica, dalla soggezione servile, corporativa, di casta, patriarcale, etc. Non importa chi tu sia e da dove tu venga, l’importante è che tu abbia denaro. È il denaro che fa di te un essere qualunque, un individuo eguale agli altri, un democratico, un liberale. È il denaro che libera dai limiti della società antica e dai limiti della società medievale. Libera dalla soggezione personale, la quale impone come stare al mondo, cosa fare, come e dove lavorare e copulare e con chi è lecito farlo, etc.
Questa roba della mano invisibile, e della libertà borghese, dice Marx, è una cosa buona. Dopodiché, dice agli inglesi, vi siete liberati dal controllo di Dio e del suo vicario per consegnarvi nella mani invisibili del denaro. Ma cos’è questo denaro che tanto adorate? Non è forse il vitello d’oro, non è forse un feticcio? Non è forse potere sovrano reificatosi in un oggetto di culto? Dunque, non avete fatto altro che re-introdurre di straforo la stessa sostanza, lo stesso oppio. Perché, e qui rimescola le carte, il potere che voi avete messo nel denaro è un potere che, appunto, ci avete messo voi. Per quel che mi consta, dice, il denaro è un metallo, e il metallo, lo si osservi quanto si vuole al microscopio, non contiene questa sostanza che voi credete che abbia. Il potere del denaro è un vostro potere, e un potere dell’uomo.
Siccome il personaggio si chiama Marx, non si limita qui a una critica diretta, manichea, del Feticismo.
Ed è ancor un bene, dice, che abbiate liberato il Feudatario, il Re, il Patriarca, il Maestro d’arte, il Signore, il Podestà, etc, dal loro potere, e lo abbiate trasferito in una cosa, perché la cosa, a differenza delle persone, non è discrezionale, misura tutti dall’alto in basso, ma sempre con lo stesso metro oggettivo.
Ora, però, non venitemi a dire che questo potere deriva dalla cosa, che è un potere dell’oggetto denaro. Questo potere, e qui rimescola ancora le carte, questo potere è il potere dell’uomo. Ma non dell’uomo in generale – dell’umanità. Non è qualcosa che appartiene all’essere umano come sua proprietà. Se pensate così, dice, vi sbagliate. L’individuo generico – l’umanità – è un prodotto di tutta sta minestra, e non un suo presupposto.
I diritti dell’uomo, i diritti delle donne, i diritti degli animali, i diritti delle piante, persino i diritti del pianeta terra, sono un risultano e non un presupposto di tutta questa storia.
La rivoluzione francese arriva a cose fatte, quando la rivoluzione borghese ha già posto le premesse. L’uomo (dei diritti dell’uomo) è già stato prodotto.
E come è stato prodotto?
Si dimentica che, dice, il Presupposto dell’intera faccenda (il denaro e il valore di scambio, che costituiscono la base oggettiva dell’intero sistema) implica già in sé e fin dall’inizio la coercizione per l’individuo.
Che vuol dire?
Vuol dire che la libertà degli agenti economici richiede una costrizione. Vuol dire che questa libertà – e qui Marx mostra la sua perfidia, il motivo per il quale lo si odia – questa libertà non può essere disgiunta da una costrizione.
Il tema non può essere espresso in modo lineare, come una disputa tra libertà e coercizione, tra sovranità e sottomissione, etc. Non si tratta di un binarismo. Per questo motivo seguire Marx diventa difficile. Se si trattasse di un binarismo, le cose sarebbero più semplici.
Questo piccolo paragrafo va letto come l’Al di là di Freud. Anche Freud cerca di spiegare il dispiacere a partire da un’unica pulsione, e spacca il capello in quattro, perché ammettere che il dispiacere è ancora piacere non è semplice, nemmeno se ci si chiama Freud.
Insomma, l’uomo e i diritti dell’uomo, tutta la politica moderna (e post-moderna), dall’illuminismo in poi (dal Cogito sum in poi), derivano dal valore di scambio, e il valore di scambio implica la subordinazione dell’uomo alla società.
Anche qui, attenzione a reificare la società! La società non è una cosa. La società presuppone la divisione del lavoro. Nella divisione del lavoro gli agenti producono l’uno per l’altro, sono gettati in questa differenza, la cui caratteristica, che la stacca da un sistema Signorile o Patriarcale, è che i produttori producono l’uno per l’altro, ma nella reciproca indifferenza. Sarà il mercato (il denaro, il sistema dei prezzi) a collegare ciò che è separato. La società è reificata nel denaro. I due produttori non sono direttamente in società fra loro. La divisione borghese del lavoro non è una comunità di produttori. La comunità, dice Marx, si impone alle loro spalle. L’interesse comune (la società, o la comunità), agisce alle spalle dei produttori. Da qui la mano invisibile.
La differenza dei produttori e dei prodotti, differenza imprescindibile, diventa il sostegno dell’uguaglianza. Se l’agente A avesse lo stesso bisogno dell’agente B e avesse realizzato il suo lavoro nel medesimo oggetto d’uso in cui l’ha realizzato B, tra loro non vi potrebbe essere alcuna relazione. La diversità del loro bisogno e della loro produzione offre il motivo allo scambio e all’equiparazione nell’oggetto scambiabile. La loro differenza è perciò il corrispettivo della loro uguaglianza. Non si dà uguaglianza senza differenza. E non si dà differenza senza uguaglianza. Come produttori troveranno conferma solo nella vendita. Se la vendita non si conclude, falliranno come produttori, in quanto, in un sistema di divisione borghese del lavoro, l’oggetto d’uso che produco ha la valenza di oggetto di scambio: vale per l’uno solo quando è ceduto ad altri, e da altri si riceve in cambio il controvalore. La diversità pone gli agenti nel rapporto di uguaglianza.
Questa diversità e autonomia – questa sovranità di produttori e consumatori – deve essere prodotta. Non si dà naturalmente. In natura non ci sono produttori divisi in una divisione del lavoro nella quale ognuno produce per l’altro ma senza parlarsi, senza coordinarsi, in una cooperazione muta, regolata a posteriori dal mercato. Semmai è in una fase storica precedente a quella borghese che troviamo una maggiore ed esplicita cooperazione – nella famiglia e nella famiglia allargata, nell’ambito della corporazione o del dominio del feudatario, eccetera. L’individuo libero dal vincolo personale e comunitario, persino dal vincolo familiare e filiale, è un prodotto della borghesia. Di più, è un prodotto senza il quale la struttura borghese non potrebbe funzionare: il libero contraente (il proletario sovrano) è un puntello essenziale di tutta la baracca borghese. Il single è un prodotto della divisione del lavoro. L’individuo che vive da solo, che non si sposa, che non ha figli – tutta la minestra del gender – nasce da qui, dalla dislocazione della famiglia e della società tradizionale nella divisione del lavoro che contempla soggetti liberi, soggetti che producono autonomamente, che non si parlano, pur avendo, mai come prima, l’uno bisogno dell’altro, ma non dell’altro in quanto persona particolare, come era un tempo, quando si aveva bisogno del figlio, della moglie, dei nipoti e dei vicini di casa, ma bisogno dell’individuo generico, dell’essere umano, di un individuo qualsiasi, con il quale non si condivide nulla, né la famiglia, né la lingua, niente, con il quale si può essere anche in guerra, un individuo generico, appunto – la comunità è reificata nel mercato e nel denaro, il genere si presenta come moneta; un individuo con il quale non si condivide nulla ma del quale si ha bisogno per tutto, con il quale ci si coordina (nel mercato, e a posteriori) in tutto, persino nel numero di sorregge lecite.
E non è tutto, dice Marx. Il fatto che questo bisogno dell’uno può essere soddisfatto mediante il prodotto dell’altro e vice versa, e che l’uno è capace di produrre l’oggetto del bisogno dell’altro e ciascuno è, rispetto all’altro, nella posizione di proprietario dell’oggetto del bisogno dell’altro, dimostra che ciascuno è sovrano, come uomo, del suo particolare bisogno ecc., e che essi sono, l’uno rispetto all’altro, in un rapporto di uomini; che la loro comune essenza generica è nota a tutti.
Ripeto, i produttori indipendenti, che producono l’uno autonomamente dall’altro, devono esser prodotti. Il compito è assolto dalla divisione borghese del lavoro. Con essa, dice Marx, è posta la piena libertà dell’individuo. La divisione del lavoro – la differenza – non va pensata separatamente dallo scambio – l’uguaglianza. Non c’è divisione del lavoro senza scambio e non c’è scambio senza divisione del lavoro. Anche qui, bando a ogni binarismo. Lo scambio, dice, pone la libertà degli agenti. Non solo dunque libertà e uguaglianza sono rispettati nello scambio basato sui valori di scambio – lo scambio borghese – ma lo scambio dei valori di scambio è anzi la base produttiva di ogni uguaglianza e libertà. In quanto si sviluppano in rapporti giuridici, politici e sociali, libertà e uguaglianza, sovranità e democrazia, sono nient’altro che questa base tradotta in un altro contesto.
Uguaglianza e Libertà in questa estensione, dice, sono l’esatto contrario dell’uguaglianza e della libertà antiche, le quali non avevano come base il valore di scambio sviluppato, ma anzi crollarono con lo sviluppo di quest’ultimo. Nel Medioevo europeo, dice, invece dell’uomo indipendente – sovrano – troviamo che tutti sono dipendenti: servi della gleba, padroni, vassalli e signori feudali, laici e preti. La dipendenza personale caratterizza tanto i rapporti sociali della produzione materiale, quanto le sfere di vita su di essa edificate. Ma proprio perché rapporti personali di dipendenza costituiscono il fondamento sociale dato, lavori e prodotti non hanno bisogno di assumere una figura differente dalla loro realtà: si risolvono nell’ingranaggio della società come servizi in natura e prestazioni in natura. La prestazione del lavoro è scambiata da singolo a singolo, non c’è il salto al genere. Il padre porta a casa le patate, la moglie le cucina, la figlia lava i piatti e porta la lavatura al porco. Non ci sono agenti sovrani che producono e consumano in piena autonomia. La divisione del lavoro che qui si esprime, non ha bisogno, per realizzare la socialità, di passare per la generalità del valore di scambio oggettivata. Lo scambio è regolato dagli stessi valori – sesso, forza fisica, affettività, etc. – che regolano la famiglia.