Il carattere di feticcio dello Stato e il suo arcano

sara
Wagenknecht mette in fila una serie di fatti sul declino della Germania e dell’Europa sui quali non si può non essere d’accordo. Non si può negare il declino della classe operaia, la povertà diffusa, lo svuotamento dello stato sociale, la sanità e la scuola che fanno schifo, il dumping salariale, l’industria portata in Cina e i cinesi a fare gli schiavi a Milano, lo Stato territoriale come ultima difesa. Dopodiché non si può nemmeno negare che confonde gli effetti con le cause, che di economia non capisce una cippa, e che il suo librone, che si fa fatica a finire, è un discreto manuale di Marketing elettorale. Quando guarda con nostalgia allo Stato dei Gloriosi Trenta non solo mostra una saudade sciocca, ma trasforma lo Stato in un feticcio. E ciò avviene, come dice Marx nell’Ideologia tedesca, se si prende la politica come base della storia empirica. Si proietta su un terzo, che non è più il Mercato e il Denaro, ma lo Stato, un Terzo che diventa uno specchio e restituisce l’immagine della società. Solo in questo specchio Wagenknecht riesce a vedere la comunità, cioè l’immagine del rapporto sociale tra produttori del lavoro complessivo, facendolo apparire come un rapporto sociale tra oggetti esistenti al di fuori di essi produttori. Quando distoglie l’occhio dallo specchio, vede il Gender, l’uomo qualunque, l’umanità dei diritti dell’uomo, l’umanitarismo astratto – il lavoro astratto, insomma – vede le persone come le vede l’impresa, vede con gli occhi dell’impresa, vede una massa indistinta che si offre in quantità, senza cura della qualità, vede tanti Robinson, vede tanti lavori e tanti interessi indipendenti l’uno dall’altro. Nella società non vede la comunità operante nella divisione sociale del lavoro. Vede questa comunità solo nello Stato (nello stato del Gloriosi Trenta). Comincia Post Festum, e quindi parte dai risultati belli e pronti.
La funzione dei prezzi, dunque del mercato e del denaro, così come spiega bene Milton Friedman, era quella di 1) trasmettere informazioni; 2) fornire un incentivo ad adottare metodi di produzione meno costosi e a usare le risorse disponibili per gli scopi cui è associato il maggior valore; 3) determinare la quantità di prodotto che spetta a ciascuno, cioè la distribuzione del reddito.
Con questo quid pro quo – e bisognerebbe fermarsi anni interi a riflettere su questo quid pro quo – con questo espediente, dice Marx, i prodotti del lavoro diventano merci, cose sensibilmente sovrasensibili, cioè cose sociali. Nel denaro si rispecchia la socialità del lavoro. E mentre nel denaro si vede il potere, nella società si vedono solo agenti liberi di offrire e di offrirsi ognuno in concorrenza con l’altro – si vede la depravazione e l’isolamento. È una visione capovolta. Lo stesso Friedman, obtorto collo, deve riconoscere che, anche per la produzione di una semplice matita, collaborano – sono in una comunità di lavoro, anche se non si parlano tra di loro e non hanno un piano – più di un migliaio di lavoratori sparsi ai 4 angoli del pianeta. Non deve perciò stupire che Friedman, e i suoi seguaci odierni, vedano nel denaro e nel controllo della banche e delle banche centrali, nel sovranismo monetario, il potere sociale, vedano nel denaro la Società e nella società vedano il Gender (il male).
Wagenknecht vede nello Stato ciò che Friedman vede nel denaro, e vede nella società il Gender. È vero, lo Stato (dei Gloriosi) ha preso il posto del denaro, è diventato il signore del denaro, decide degli investimenti e della distribuzione del reddito, con gli istituti di statistica controlla l’informazione, eccetera, e facendo ciò spinge verso una completa sussunzione di ogni scambio verso uno scambio indiretto, dalla culla alla tomba. Il vero individuo astratto – il gender – nasce sotto questa spinta. Non nasce nella penna di Foucault e di Derrida. Nasce dal pieno impiego. Non si tratta di un individuo isolato. Non c’è mai stata tanta comunità nella società di quanta ce ne sia stata nel periodo del pieno impiego. In essa ognuno dipende in tutto dal lavoro degli altri, persino per allattare. Mentre la madre (e il padre) lavorano, la maternità (e la paternità) sono surrogate da altri. Non bisogna aspettare l’utero in affitto. È il latte in polvere che surroga la tetta. È dal latte in polvere che parte il queer e la filosofa gender – ma siamo a fine ottocento, non a fine novecento.
Tutto ciò spiega anche perché (un tema sul quale Giacchè giustamente storce il naso, ma non dà spiegazioni) Wagenknecht flirti con l’ordo-liberalismo, e spiega perché tanti ordo-liberali nostrani embedded, vedono negli investimenti e in uno stato ripulito dalla corruzione (mani pulite) il ripristino di un capitalismo vincente. Mai che si chiedano perché il Welfare State – così perfetto – a un certo punto ha segnato il passo. Perché?
Infine, narrazion. (il puntino vale per il comando grep in bash, e qui si misura tutto il sociolinguismo di una Vera Gheno) ricorre 81 volte (5 nella brevissima introduzione, dove si trova pure un deleuziano deterritorializzazione): la Speech act theory importata di straforo, che si sposa bene con un idealismo di fondo, una politica della volontà che somiglia a quel Nietzsche e a quel Foucault che tanto si denegano e si odiano, ma ai quali si vorrebbe somigliare.

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