Toccare e sentire immagini

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Michele Mele, nell’esporre il tema delle persone con disabilità sensoriale visiva, nel suo libro Il richiamo della strada, esprime un’acuta critica nei confronti di tutti coloro che continuano a manifestare pregiudizi nei confronti delle persone con patologie della vista, pensando che non siano in grado di svolgere alcuni percorsi professionali, che si fondano sulla ricerca scientifica.
A proposito di questo punto, sarebbe interessante indagare, se è solo il pregiudizio esterno a distogliere le persone con patologie della vista dall’intraprendere questi percorsi considerati inaccessibili oppure se sono i limiti sensoriali, che ognuno di loro esperisce, a creare le barriere, nonostante i supporti tecnologici a disposizione.
Ciò significherebbe effettuare una lunga digressione, che mi riserverei in un’altra sede, in un altro capitolo. La tesi di Mele è che l’ambiente gioca un ruolo rilevante nella formazione di ogni individuo, pertanto bisogna partire dal presupposto che siamo fatti dal contesto in cui siamo immersi
Nella prefazione c’è un passaggio che apre una finestra sul denominatore comune tra la realtà virtuale dell’intelligenza artificiale e quella concettuale del nostro cervello. La rappresentazione della realtà “genuina”, della realtà esterna mediante i concetti rimanda alla realtà virtuale dell’intelligenza artificiale.
I linguaggi verbali sono, come dice la parola stessa, strutturati sulle parole: una parola non è altro che un segno e, come ogni altro segno, ha un significante e un significato.
L’atto comunicativo, in sintesi, è un segno, per esempio: un segno di saluto è scomponibile in due parti: il significante, la mano (concreto) e il significato, il saluto (astratto). Il segno, infatti, è l’associazione di un significate con il relativo significato. La persona non vedente, non percepisce il segno visivo, ma se sente la parola ciao, hello, hallo, associa il segno (segnale) acustico al significato, cioè al concetto mentale, il quale si riferisce all’oggetto di cui si parla.
Il significante è la parte fisicamente percepibile del segno linguistico, esso è costituito dall’insieme degli elementi grafici ed acustici. Significante e significato sono strettamente interconnessi tra di loro e rimandano continuamente l’uno all’altro.
Per Ferdinand de Saussure sembra che il significante non possa essere considerato solo un elemento materiale e nella sua raffinata elaborazione assume (anche) un valore rigorosamente mentale. I segni, le immagini, le storie, dunque, disegnano nella mente una “struttura espressiva”, in grado di recepire i significati e nello stesso tempo disegnano i significanti che la mente può osservare, trasformando il tutto in un oggetto di narrazione.
La persona non vedente non ha accesso alle immagini, senonché gli impedimenti del canale visivo non costituiscono degli ostacoli alla rappresentazione concettuale di ciò che un individuo esperisce. Semmai, l’apprendimento e il relativo processo di acquisizione delle informazioni seguono un andamento più tortuoso, incontrando numerosi rallentamenti, che negano o frustrano l’individuo che si trova al buio. Nondimeno, le difficoltà a acquisire e memorizzare le informazioni rinforzano il processo di rielaborazione e sintesi e di conseguenza sembra che la memorizzazione sia più efficace, rispetto a quella che segue il percorso per solo immagini, che di fatto è più veloce.
Mele è un matematico specializzato in algoritmi e didattica e sostiene che i non vedenti percepiscono il mondo da un altro punto di vista, quindi possono contribuire ad arricchire la ricerca scientifica.
Egli, su quest’aspetto, è molto chiaro e continua a ripetere che è il contesto, non un pugno di cellule in meno, a determinare la disabilità.
Il protagonista del libro di Mele, progettò e realizzò una serie di strade e ponti, dimostrando di saper rappresentare nella propria mente, nel proprio cervello «le infrastrutture e le specifiche costruttive, esattamente come farebbe un moderno programma di design tridimensionale» (1)
Le caratteristiche dell’inclusività, una parola da prendere con le pinze e dalla quale promana una grande ambivalenza, non è una prerogativa degli ultimi decenni, tant’è vero che ai nostri giorni la fretta, la superficialità e l’edonismo, che caratterizzano le relazioni sociali, costituiscono barriere escludenti alquanto consistenti.
A dire il vero, già nel suo libro L’universo tra le dita, pubblicato nel 2021, Mele affronta il tema dei pregiudizi, che allontanano le persone con patologie visive dalle discipline scientifiche.
Forse, l’ingegnere Metcalf che, in barba alla sua cecità, disegnò strade e ponti e che visse nell’età dei Lumi, ebbe la fortuna di vivere in un ambiente non meno accogliente di quello decantato dalla legislazione inclusiva degli ultimi trent’anni.
Questo poliedrico personaggio perse la vista all’età di sette anni, ma non cadde mai nell’autocommiserazione così come non fu sopraffatto dalle maglie del pietismo, atteggiamenti tutt’ora presenti nell’epoca in cui viviamo. Egli riconosceva i suoi limiti e non era preda di approcci romantici verso la vita, nonostante i suoi avventurosi viaggi, per contro utilizzò e sviluppò gli altri sensi per diventare un ottimo musicista, prima di intraprendere, da autodidatta, l’attività di progettare chilometri di strade e ponti, che vengono ancora utilizzati nello Yorkshire settentrionale.
Il pioniere dell’ingegneria stradale non rappresenta un caso isolata, infatti Mele, nel suo libro L’universo tra le dita racconta la storia di altri dieci scienziati ipovedenti e non vedenti, tra cui il matematico Nicholas Saunderson che a Cambridge ebbe l’onere e l’onore di portare avanti l’insegnamento che era stato di Newton e che nell’epoca contemporanea sarà poi di Hawking.
John Metcalf crebbe in una famiglia appartenente alla working class e la perdita totale della vista in tenera età, collegata al virus del vaiolo, non gli impedì di esperire i movimenti contraddittori della vita. Come un funambolo che brancolava nel buio seppe cogliere il piacere e il dolore dalle sue interazioni. Blind Jack diventa, per quel che riportano le testimonianze dell’epoca, il monello del quartiere, che si muove con disinvoltura, in una cittadina che accetta la sua diversità e stimola la sua intraprendenza, il suo attaccamento alla vita, anche se considerato figlio di un Dio minore.
In quel periodo storico, come calca la penna di Mele, non c’è l’assistenza agli inabili al lavoro, non ci sono assegni per l’invalidità, il rozzo e particolare sistema previdenziale è relegato alle congreghe religiose, per cui il non essere in grado di produrre i mezzi di sussistenza si traduce nel percorrere la strada obbligata di dipendere dalle elemosine di chi dispone delle risorse (il denaro) e ne concede una misera parte, per “sentirsi” a posto con la coscienza.
Il figlio dello stalliere di una fattoria situata nei pressi di Knaresborough, una fiorente cittadina sul piano mercantile ed industriale. Nonostante le immagini degli oggetti del mondo esterno non cadano in modo capovolto sulle cellule retiniche, percepisci i raggi dell’Illuminismo. Il protagonista di questa storia non demorde: ancor prima di diventare adolescente impara ad andare a cavallo, infatti, come scrive l’autore del libro: «Metcalf, come molti non vedenti, aveva sviluppato una memoria muscolare ed aveva disegnato nella propria mente una mappa di tutte le strade che esplorava, potendo contare sugli occhi dell’animale per imboccarle correttamente» (2)
Il saper maneggiare le briglie dei cavalli gli permise di lavorare come guida ed accompagnatore dei numerosi viaggiatori che si recavano nella vicina città termale di Harrogate, i quali, considerata la disinvoltura con cui si muoveva, non si accorgevano che era un non vedente.

Amore e guerra

Anche la sua vita sentimentale fu ricca di avventure: la donna alla quale era legato affettivamente era stata promessa a un ricco imprenditore della zona; inizialmente era avvolto nella tristezza e dava ampio sfogo ai suoi vizi, finché non riuscì a trovare il consueto spirito d’iniziativa e una formidabile rapidità di pensiero, escogitando un piano, per evitare che potesse perdere la persona di cui era innamorato.
Il giorno prima che si celebrassero le nozze, nel cuore della notte, con l’aiuto di un suo amico misero in atto la fuga di Dorothy e si recarono in una cittadina vicino ad Harrogate dove li attendeva un reverendo, che in modo rocambolesco li unì in matrimonio.
Era molto probabile che i genitori di Dorothy sapessero della relazione affettiva con Metcalf, ma non credevano che lui fosse in grado di portare avanti una famiglia. In fondo, anche se lasciava di stucco gli abitanti della cittadina, per le sue imprese, era pur sempre un non vedente.
Tuttavia, Blind Jack smontò tali pregiudizi che confluivano nei luoghi comuni: non solo continuò a guadagnarsi da vivere per sé e per la propria famiglia, suonando l’oboe e il fiddle, ma intensificò l’attività di trasporto di cose e persone. Il quieto vivere venne turbato dalla guerra d’insurrezione giacobita del 1745, una guerra che vide contrapposti il casato degli Stuart e quello in ascesa di Hannover e alla base ci fu il tentativo dei primi di minare la Monarchia parlamentare, per tornare alla Monarchia assoluta, ossia la forma di Governo prevalente in Europa.
Metcalf non fu risparmiato da quest’evento, anzi vi prese parte attiva, dando la carica o la ritirata, con i suoi strumenti musicali, all’esercito di cui fece parte e che si oppose a quello dei giacobiti, fino alla conclusione del conflitto nel 1746.
Non appena la guerra finì, in Yorkshire le attività economiche ripresero il loro vigore e di conseguenza aumentarono i traffici delle merci e gli spostamenti delle persone. Metcalf scoppiò di gioia, nel rivedere i suoi familiari e i suoi amici, anche lui riprese il suo lavoro, ma la sua permanenza nel reggimento di Pulteney gli aveva allargato gli orizzonti, in quanto era riuscito a costruire una mappa mentale delle strade che aveva percorso e dei posti in cui aveva pernottato durante la guerra. Inoltre, ebbe modo di apprezzare una serie di prodotti scozzesi, quindi implementò la sua attività di trasportatore, dando luogo a una piccola via commerciale tra Harrogate (Yorkshire) ed Aberdeen (Scozia), fungendo da mediatore di alcuni prodotti tra i fabbricanti inglesi e quelli scozzesi, come ad esempio: la biancheria in lino dell’Inghilterra con le calze di lana dalla Scozia. Per distinguere i prodotti che commerciava, la cui lista si faceva sempre più lunga, «escogitò un sistema di etichette tattili che gli permetteva di identificare la merce in pochi istanti e imparò a comprendere la qualità dei materiali, la dimensione e il loro peso semplicemente toccandoli, cingendoli tra le braccia o rigirandoseli tra le dita». (3) Secondo i documenti dell’epoca e la ricostruzione di Mele, Blind Jack, pur non riconoscendo i visi delle persone che incontrava e il suo contatto oculare era assente, non esitava ad interagire anche con sconosciuti, frequentando, per un periodo, i loschi ambienti dei contrabbandieri.
Ovviamente, in queste circostanze sapeva come nascondere il proprio punto debole, fiutando le mosse dei suoi interlocutori e muovendosi con sicurezza, con pochissimi impacci, come se avesse sviluppato la capacità di elaborare una mappa mentale in tempi rapidi, che gli permetteva di effettuare le azioni in modo contestuale.

“Il talento è la capacità d’imparare, il genio è la capacità d’evolversi”.
Arnold Schönberg

Nel 1751 si presentò un’occasione che introdusse un cambiamento inaspettato nella vita di Metcalf. Con la ripresa delle attività economiche, il Governo si rese conto che era necessario consolidare ed espandere la rete stradale, quindi furono creati degli enti appositi che si occupavano della realizzazione delle opere. L’ente stabiliva il budget e poi individuava il progettista, il quale aveva il compito, oltre che disegnare il percorso, di trovare gli operai e di acquisire i mezzi e i materiali per la costruzione del tracciato. Anche in queste circostanze spiccarono le doti di Blind Jack, ossia la sua attitudine a costruire relazioni sociali. L’ente che mirava alla realizzazione di un tragitto nei pressi della cittadina dove Mercalf viveva era a conoscenza delle sue capacità di entrare in relazione e formare un gruppo, quindi uno dei funzionari, che tra l’altro era un amico di Mercalf, fece in modo che non venisse escluso dalla possibilità di partecipare a questa selezione, solo perché fosse non vedente.
Provare ad immaginare specialmente ai nostri giorni, nei quali non si fa altro che utilizzare la parola inclusione (ormai sta diventando una parola vuota, suonata da tutti i politici, nonché dagli imprenditori) se qualche ente pubblico o privato affermasse che un progettista non vedente dovrebbe dirigere i lavori per la costruzione di una strada. Come minimo si solleverebbe un putiferio.
Nel 1755 il Parlamento stanziò ingenti fondi per realizzare il collegamento stradale tra Halifax e Wakefield, due importanti centri della Rivoluzione industriale. Metcalf partecipò al concorso pubblico e vinse la competizione, aggiudicandosi la costruzione delle 23 miglia del tracciato, che completò in pochi mesi.
Il titolo del libro, Il richiamo della strada, rimanda, da un lato, alla dettagliata biografia del pioniere dell’ingegneria civile, per ciò che concerne la progettazione e la realizzazione di strade e ponti, dall’altro, ricorda la capacità di apprendere in modo autodidattico, senza seguire percorsi formativi scolastici o accademici. Fermo restando che l’autodidatta non è un individuo isolato, non agisce isolatamente, egli impara dall’esperienza e dal confronto con altre persone che incontra lungo il cammino e con le quali intrattiene relazioni e interazioni sociali.
Il “richiamo” esprime una specie di forza che attrae, che riporta chi scrive lungo un sentiero che non esperisce come qualcosa di estraneo, anzi percepisce che riesce ad orientarsi, a muoversi, nonostante il suo campo visivo sia oscurato.
Nell’apprendere la storia di John Metcalf, la prima sensazione che pungola i lettori è quella di incredulità, pertanto la domanda che si pongono in molti potrebbe essere: come fa una persona non vedente, che ha notevoli difficoltà a trovare la strada per tornare a casa, a progettare e realizzare tragitti stradali per gli altri?
Siamo nella seconda metà del XVIII secolo, la prima Rivoluzione industriale è alle porte, ma siamo pur sempre lontani dalla complessità e dalla fretta odierna, nel senso che le vie di comunicazione terrestri non sono sviluppate e gravitano intorno alle principali direttrici solcate dagli eserciti nel corso del tempo. Eppure il progettare una strada richiede una conoscenza dei materiali da usare, delle conformazioni e pendenze del territorio, delle falde acquifere che possono determinare smottamenti, in altri termini, l’individuazione del tragitto migliore implica uno studio preliminare, un disegno mentale che migliori i tracciati istintivi dei muli, dei cavalli o degli asini.
Il come sormontare un tale ostacolo, per un non vedente, non ricade nella sfera della magia o dell’agire mistico, piuttosto sembra che abbia a che fare con la plasticità dell’encefalo a creare nuove connessioni neuronali ed è noto come fenomeno della compensazione del senso della vista, affinando gli altri sensi, in particolare il tatto e l’udito.
Recenti studi hanno dimostrato – scrive Mele – che «le diverse aree del cervello delle persone non vedenti, soprattutto dalla nascita o dall’infanzia, sviluppano connessioni inconsuete, come se i membri di una squadra si prodigassero per sostenere un compagno meno forte». (4)
Dunque, la regione occipitale del cervello, responsabile della trasmissione delle informazioni visive, non va in letargo o non muore, in quanto viene attivata dalle azioni o concetti che richiamano l’esperienza visiva, attraverso gli altri sensi.
Durante le sue ricognizioni tastava con i piedi se il terreno cedeva al suo passaggio, calcolava l’inclinazione del terreno con il suo bastone e misurava il tragitto con il viametro, ottenendo stime precise sulla lunghezza del tracciato, dato che sapeva che i sensi potevano ingannarlo, quindi basava i suoi progetti su una “procedura rigorosa, accurata, ripetibile e verificabile”.
Contrariamente a quello che accade oggi in Italia, per la realizzazione di determinati lavori pubblici, i progetti per le strade e i ponti assegnati a Metcalf dagli enti committenti, tramite le gare pubbliche, erano conclusi nei tempi stabiliti. L’ingegnere autodidatta, per la sua affidabilità nell’esecuzione dei lavori, attirò le attenzioni dei giornali locali. C’è un aneddoto che affiora da un’intervista di quel periodo e che la dice lunga sull’incapacità di quel giornalista di mettersi nei panni di Blind Jack, una caratteristica che ancora serpeggia nelle relazioni sociali contemporanee. Alla domanda sul perché Metcalf effettuasse i sopralluoghi, per determinare il tracciato migliore durante la notte, quest’ultimo rispose dapprima con una risata e poi con umorismo inglese disse: «Signore, forse lei non ha compreso che per me il giorno somiglia alla notte, tranne pochissime variazioni sensoriali, continuo a muovermi nell’oscurità!».
Il pioniere dell’ingegneria stradale civile ebbe la fortuna di vivere in un ambiente che non etichettò la sua disabilità come un problema insormontabile, come un soggetto che non era in grado di autodeterminarsi, di crescere e condurre una vita “normale”. Se un simile ambiente fece in modo che le sue qualità, i suoi talenti emergessero sugli impedimenti visivi, è pur vero che al percorso virtuoso contribuì l’atteggiamento di una mente, come quella di Blind Jack, allenata e affinata nell’affrontare il disagio, nonché predisposta all’azione e all’apprendimento.
Mele, nel ripercorrere le vicende e gli intrecci che caratterizzano le condizioni di esistenza di un non vedente del XVIII secolo, mette in luce le sue potenzialità, il suo piglio e la sua motivazione a trovare uno spazio nell’ambito lavorativo, tale che gli permetta di vivere, senza essere considerato un reietto, un mendicante che non apporta nulla al contesto in cui è inserito, se non il suo gesto miserevole di tendere la mano, in segno di ricevere un compenso caritatevole.
L’autore di questa storia biografica sa bene di cosa parla, in quanto nel corso della sua vita ha imparato a lottare in condizioni di svantaggio, per intraprendere quei sentieri della conoscenza, considerati al disopra delle possibilità delle persone prive della luce negli occhi o con scarsa percezione visiva. Egli ha sperimentato sulla propria pelle cosa significa aprirsi un varco all’interno della comunità scientifica, quindi pone l’accento sull’importanza di partecipare al processo produttivo, senza essere scartati apriori, soprattutto se il cognitivo è integro, di conseguenza può essere sviluppato.
Tuttavia, nell’improntare il discorso, in modo sistematico, sulle gesta eroiche di Blind Jack, nei luoghi in cui vive e sulle imprese lavorative che lo contraddistinguono, rimangono nascosti tutti quegli episodi della vita quotidiana, che denotano le sofferenze, i disagi, le difficoltà, i dolori e le fatiche collegati con le limitazioni visive. Ma ripeto, Mele è consapevole del taglio o dell’ordine che intende dare ai suoi atti comunicativi. In ogni caso, per concludere questo breve viaggio, provate a chiudere gli occhi e immaginate tutte le azioni che si compiono, siano esse legate indirettamente oppure no alle attività lavorative che vengono svolte ogni giorno: il trovare i vestiti, assicurandosi che non ci siano macchie; preparare da mangiare e rimettere a posto le stoviglie; se non si può guidare la propria automobile, individuare il mezzo di trasporto pubblico idoneo agli spostamenti programmati; acquistare i generi alimentari e tutti gli altri prodotti, per soddisfare i bisogni basilari; seguire le utenze ed effettuare il pagamento delle bollette all’ufficio postale, in banca o mediante le piattaforme online; seguire l’ordine della fila, segnalato dal totem (sic!) all’ASL o in altri uffici territoriali; compilare un modellino cartaceo, per richiedere un servizio; effettuare l’ordine al ristorante o trovare dove sono dislocati i servizi igienici. Per non parlare di atti di straordinaria amministrazione come l’acquisto di una casa e l’apertura del corrispettivo mutuo bancario; il rilascio o il rinnovo del passaporto, eccetera.
Beh, vi posso garantire che invocherete la persona o l’entità che credete che possa ancora aiutarvi a sollevare il vostro stato d’animo dagli impedimenti visivi. E, forse, aprendo gli occhi, con aria smarrita, sussurrerete: «Oh madre mia!» oppure «Oddio!»

(1) Michele Mele, Il richiamo della strada, Edizioni Efesto, 2023, p. 13.
(2) Ibidem, p. 27.
(3) Ibidem, p. 72.
(4) Ibidem, p. 88

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