Napoli, Coccoluto e i Talking Heads

L.essen intervista M.cacciacarne.

LE – Quando hai conosciuto Coccoluto?

MC –  Molto Tardi, nel 2000 (2001?). Quando ormai anche in Italia la club culture aveva conquistato i santuari del radicalismo nostrano.

LE – Ti riferisci ai centri sociali?

MC –  Si, più o meno. In quel periodo leggevo i giornali a Radio Kappa Centrale, a Bologna.
Quanto tempo buttato via!
Più di 100 anni prima Nietzsche invitava a bruciarli – i giornali.
Verso la fine degli anni Novanta la radio si era convertita da emittente dell’antagonismo hip-hop-neo-punk, a gran cassa della Club Culture.
Quelli che avevano letto Salario, prezzo e profitto furono buttati fuori, o costretti ad andarsene. Furono sostituiti da aspiranti farmacisti, veterinari, programmatori di router Cisco, tutti con la passione per il DJ_Set e una spicata vocazione per Vonnegut e Donald Barthelme.
Alcuni Dj di Radio K erano diventati Resident al Link.
Furono loro a trascinarmi verso il club.
Non ero proprio di primo pelo. Negli anni Ottanta avevo frequentato il Plastic di Milano, in viale Umbria.
Andavo con Egidio (studiava farmacia alla Statale – ‘sti farmacisti!).
Erano tutti gay.
Il Plastic era un buco, con un arredamento originale – che venti anni dopo replicarono pari pari al Link di Bologna.
Si parlava di postmodern, e a una parete proiettavano film porno (gay).
Ci andarono anche Madonna, Elton John, Andy Warhol, Freddie Mercury, Prince, Paul Young, Bruce Springsteen, Keith Haring e Grace Jones – stando a wikipedia. Perché io, quelle poche volte che ci andai, vidi solo Jo Squillo delle Kandeggina e Ivan Graziani.
Quando tornai a casa, Egidio mi diede una delle sue cassettine, una di quelle che portava alle radio locali di Matera quando scendeva in vacanza.
Sul nastro c’era anche Psycho Killer dei Talkings Heads.

LE – Anche Coccoluto ha iniziato con i  Talkings Heads.

MC –  Non è proprio così. Coccoluto veniva dal Rock progressivo, Genesis, Pink Floyd, Yes, Van Der Graaf.

LE – Hai letto Io, DJ, il bigino di Pacoda su Coccoluto?

MC –  Pacoda – che cartola! Quando studiavo al Dams era assistente di Semiologia della Musica, col Prof. Gino Stefani. Per sbarcare il lunario scriveva sul Manifesto, collaborava con La Perla (quella delle mutande), con la Irma Ricords, la  Century Vox e la Nike. Ha scritto qualche libro – prima di invaghirsi per LaPassade.

LE –  Ti riferisci all’antropologo francese George Lapassade? l’amico di Pasolini, che nel 68 bloccò la Biennale di Venezia, e che negli anni Novanta si piazzò al Cocoricò di Riccione per indagini ed esperienze sulla Club Culture?

MC –  Proprio lui.

LE –  Il padre di Coccoluto aveva un negozio di elettrodomestici. Vendeva di tutto, anche giradischi. Nel negozio sono iniziate le prime prove. La Radio arriva più tardi.

MC – Radio Andromeda di Gaeta.

LE – Poi passò a Radio Luna.

MC – La radio di Cicciolina.

LE – Faceva parte di un network nazionale. Si registrava tutto su un nostrane, e poi si distribuiva alle varie emittenti locali che trasmettevano in contemporanea.

MC – E poi passò al Seven Up di Formia, dove cominciò la sua avventura di Dj

LE – Nel 2006 si candidò con i RosaPugnone.

MC – E nel 2015 un giornalista di rockit.it, in un’intervista a Coccoluto esordisce dicendo che il DJ è fondamentalmente un grande collezionista di dischi che non vede l’ora di condividere questa passione con gli altri, che non vede l’ora di mettere quel disco particolare perché vuole entrare in contatto con gli altri per il tramite della musica.
Questo giornalista, dopo anni di Club Culture, nel 2015, ripete l’idiozia di una musica – della Musica – che mette in contatto, della Musica come linguaggio oltre la lingua, e cazzate simili, come se la musica – per essere musica, per essere non dico ascoltabile, ma perlomeno scrivibile – non debba sottomettersi ad una sintassi, ad una ricorrenza, una ridondanza, eccetera.

LE – E Coccoluto cosa ha risposto?

MC – Ha abbozzato, e l’ha buttata sulla EDM, su David Guetta e i compensi milionari per serate con fumi e raggi laser.
Cosa vuoi rispondere ad un giornalista di rockit.it!
Pure lui deve svoltare la vita.

LE – Coccoluto sperimentava nel negozio del padre.

MC – Era un artigiano. Esplorava le possibilità della tecnologia, studiava la meccanica dei giradischi.

MC – Il Padre?

LE – Il Figlio. Dice che all’epoca i giradischi erano a molla, e l’unico piatto che permetteva di mixare, ovvero di dare al disco una velocità maggiore o minore di quella originale, era un Lenco ad elastico. Nello spazio della levetta tra i 33 e i 45 giri aveva un vuoto che permetteva di modificare la velocità, in modo da sincronizzare due dischi con tempi diversi.
Era affascinato da questa tecnologia, dalla possibilità di alterare il disco, di dargli una velocità diversa, di inserire in un disco frammenti di un altro.

MC – Un minestrone post-moderno.

LE – Non proprio. Si trattava, più che altro, di prendere un elettrodomestico di uso comune – uno strumento pop – e sottoporlo ad una torsione per così dire innaturale.

MC – Un po’ come fece Jimi Hendrix con la chitarra elettrica.

LE –  Il Dj non si limita a mettere dischi. Il Dj suona i dischi. Fa uscire dai dischi qualcosa che prima non c’era.

MC – Crea musica.

LE – Non esageriamo. Questa cosa della creazione, dell’artista che passa dalle parole ai fatti, per il quale non si tratta più di interpretare il mondo, ma di cambiarlo, ci ha scassato.

MC – Ti riferisci all’ebbrezza, presa come quella condizione estatica nella quale tutti i limiti sembrano cadere, e si ha la sensazione di uscire da se stessi, di divenire una cosa sola col tutto, di sfociare nel mare infinito, di affondare? Ti riferisci alle panzane che Lapassade, a tempo scadutissimo, venne a smerciare al Cocoricò manco fossero pillole di Estasy?

LE – L’uomo non è più artista, è diventato opera d’arte.

MC – L’arte non riproduce il mondo. L’arte crea il mondo, inventa il mondo, stravolge il mondo.

LE – Parliamo di romanticismo?

MC – Parliamo di Nietzsche. Del primo Nietzsche della Nascita della tragedia.

LE – Un libro che ha affascinato proprio per ciò che aveva di sbagliato.

MC – Si. Per essere giusti con la Nascita della tragedia, bisognerà dimenticare alcune cose.

LE – Ecce Homo?

MC – Si.

LE – Nascita della tragedia è un libro che ha un ripugnante odore hegeliano; che risolve l’opposizione in unità nella tragedia; razionalità contro istinto; un libro che nel suo senso più profondo è nichilista.

MC – Un libro che ha fatto, e continua a fare, un sacco di danni.

LE – Un manifesto romantico, senza dubbio.

MC – In Francia e in Germania, soprattutto in Germania, il romanticismo ha rappresentato una posta politica.

LE – Sei saltato da Nietzsche a Maurice Blanchot?

MC – Nell’Infinito intrattenimento, Blanchot dice che il romanticismo, in alcuni casi, è stato rivendicato da regimi retrogradi, come nel 1840 da Federico Guglielmo IV, e poi dai teorici del nazismo. In altri casi fu assunto come istanza innovatrice. In Francia ha avuto quasi sempre un ruolo critico, e il surrealismo gli ha riconosciuto un potere di assoluta libertà.
Nei poeti e negli scrittori riuniti intorno alla rivista Atheneum negli anni 1798-1800, il romanticismo ha smesso di essere una corrente letteraria, ammesso che lo sia mai stata, e ha giocato la sua posta politica.
Per la prima volta la letteratura, l’arte (la musica) prende coscienza di se stessa, si manifesta, e l’unico scopo di questa manifestazione è dichiararsi, è dire Eccomi. Con questa dichiarazione annuncia la sua presa di potere.
Il romanticismo rende possibile una parola non transitiva, il cui compito non sia di dire le cose come stanno, di rispecchiare il mondo così com’è.
Nel romanticismo l’arte non sparisce in ciò che significa, il segno intacca e incide la storia, diviene una performance, un atto linguistico, e come parte del mondo, si assume il compito di trasformarlo. Non già presentando un catalogo di cose fatte e di cose da fare, ma imponendosi come azione diretta. Si proclama la facoltà per l’opera non più di rappresentare, ma di esistere. Non c’è più differenza tra letteratura e mondo, tra musica e vita.
L’arte è ripresa dalla biografia, si confonde con la vita e con il vivente, e assume, come il vivente stesso, quel carattere frammentario, incompiuto, fragile e fragoroso, quello stato febbrile, e quell’eccesso di pensiero chiamato sempre a decidere tra l’amore per lo stile e il desiderio di rivolta, il culto del passato e il rifiuto della tradizione, le tendenze nazionalistiche e l’idea di una soggettività pura e senza patria.
Gli artisti romantici, per il fatto di comporre, si sentono non più chiamati a saper scrive, ma legati all’atto dello scrivere come ad un nuovo sapere che imparano a cogliere diventando consapevoli. Scrivere non è solo un modo di esistere, anche l’esistenza diventa scrittura, si fa scrittura, e nella scrittura chiama il mondo in giudizio
Il romanticismo finisce per caratterizzarsi non tanto come un movimento di pensiero o una corrente culturale o artistica, ma come un’esperienza, confermando la sua vocazione al disordine, minaccioso per alcuni, promettente per altri, e per altri ancora minaccia impotente, sterile promessa.

MC – Amen!

LE – !

MC – E in tutto ciò Nietzsche cosa c’entra?

LE – C’entra, eccome! Con la sue frasi lapidarie, stile baci perugina, ha incantato schiere di romanticoni – sino a aggi, e per i prossimi duecento anni.

MC – Ma che ne è dei Machtquanta del frammento 14,79?

LE – Ti riferisci al frammento postumo che si legge qui: http://www.nietzschesource.org/#eKGWB/NF-1888,14[79] ?

MC – Si.

LE – Potenza del calcolatore elettrodomestico!

MC – Nella Nascita della tragedia Nietzsche vede la scienza attraverso l’ottica dell’arte, e l’arte attraverso quella della vita.

LE – Vuoi dire che è tutta una lotta per la sopravvivenza? Che è tutto finalizzato alla lotta e alla sopravvivenza? Che non c’è alcuna verità scientifica, che la verità è un’invenzione utile alla vita, che la scienza, come l’arte, fabbrica le proprie verità? Che la verità è come un quadro di Leonardo al quale possono essere appiccicati i baffi?

MC – Proprio così.

LE – La verità è una menzogna che aiuta a vivere. E aiuta alcuni contro altri. Mentre l’arte è una menzogna che sa di essere tale – più o meno.

MC – Le verità sono illusioni, di cui si è dimenticata la natura di illusioni.

LE – Il difetto di Nascita della tragedia sta proprio in ciò, nel riconoscere all’arte, all’ebrezza, la potenza di abolire una separazione istituita dalla logica. L’arte rappresenta un ritorno alla vita indifferenziata. Il mondo, in quanto è reale, non è affatto spezzato nella molteplicità, è vita indifferenziata, è fluire, è movimento di onde che si abbattono le une sulle altre, è un unico flusso. La molteplicità dell’ente è apparenza, è puro fenomeno, in realtà tutto è uno.

MC – Sei saltato a Fink?

LE – Eugen Fink, l’allievo di Husserl?

MC – Si

LE – Si.

MC – Il dionisiaco è ebbrezza, è l’ebbrezza e delirio bacchico che spezza le forme, che strappa, risucchia, annulla tutto ciò che è finito e isolato – il grande slancio vitale. La nascita della tragedia – dice Fink – è una metafisica dell’artista, una spiegazione del Tutto Cosmico sul filo conduttore dell’arte; nell’arte emergono contemporaneamente entrambe le forze fondamentali dello stesso essere, che si combattono a vicenda. L’arte stessa diventa un simbolo.
L’Apollineo si contrappone a tutto il Dionisiaco e viceversa, un’inimicizia è posta tra queste forze contrastanti: si sopprimono e si combattono l’un con l’altra: ma – e questo è un profondo giudizio di Nietzsche – l’una non potrebbe esistere senza l’altra: la loro lotta, la loro discordia è anche in un certo senso un accordo, esse sono unite come i combattenti. Il Dionisiaco è il sottosuolo, sul quale posa il mondo luminoso. La montagna incantata dell’Olimpo ha le sue radici nel Tartaro. Dietro il mondo della bella apparenza sta la Medusa.
Nietzsche, dice Fink, non si ferma al rapporto di opposizione di entrambi i principi distinti. Rimanda non soltanto al loro intrecciarsi, secondo il quale ciascuno di essi esige l’altro, ne costituisce il presupposto e il contrario. Nietzsche cerca la più alta unione e compenetrazione del Dionisiaco e dell’Apollineo, e la trova nella tragedia.
La tragedia non è una forma dell’arte, che sorge dalla bella apparenza e in essa si perde, ma è la rappresentazione apollinea del dionisiaco stesso. L’apparenza del bello è qui scossa da una corrente che proviene da quelle profondità che essa copriva. Nella luce della tragedia si aggirano le ombre della notte. Il Fenomeno lascia trasparire l’essere che gli sta dietro – il caos, l’indistinto. Dietro la bella immagine si mostra l’onda che l’affonda.
Nella tragedia coesistono entrambi: l’abisso dell’Uno Originario che si manifesta soltanto nella musica e il luminoso mondo di sogno delle figure, uniti, l’uno dentro l’altro. Apollo e Dioniso formano un legame di fratellanza.
La tragedia è musica e forma, sogno e ebrezza, figura e caos, luce e notte, fenomeno ed essenza.

LE – Insomma, per farla breve, secondo Fink, il tragico è per Nietzsche la prima formula fondamentale per la conoscenza dell’essere. La realtà è un contrasto degli opposti primordiali, senza possibilità di redenzione.
Non si tratta di pessimismo, si tratta di accettare la vita per quello che è, un’accettazione di ciò che di orribile e di spaventoso c’è in essa. Dove una cosa sale, un’altra deve scendere; figure si formano, altre vanno in frantumi; una cosa esce alla luce, un’altra deve sprofondare nella notte. Ma luce e notte, ascesa e decadenza, sono soltanto aspetti della stessa onda di vita. Nella tragedia Nietzsche scopre il contrasto tra la forma e l’amorfo flusso della vita, e questo contrasto viene richiamato con la contrapposizione di Apollineo e Dionisiaco.

MC – Uno schema molto statico, se lo si confronta col Machtquanta. Nella Nascita della tragedia c’è semplice opposizione. Nel Machtquanta c’è doppio vincolo, c’è aporia, c’è decisione al cospetto di indecidibilità, ci sono numeri che non numerano, conti da far tornare che non tornano, eterni ritorni che disseminano, eccetera; principi che non principiano, che sdoppiano e squilibrano. Ci sono dischi che girano; punte che ballano su tracce sempre identiche che vorticano a ritmi variabili, a tempo o contro-tempo, battere o levare.

LE – Niente di rassicurante. Nemmeno l’assicurazione che il non-rassicurante fornisce al lupo solitario, o al cane sciolto. Tra il rassicurante e il non-rassicurante non c’è più opposizione, come c’era tra l’Apollineo e il Dionisiaco, ma c’è complicazione, co-originarietà differenziante, aporia, doppio vincolo, eterno ritorno. 

MC – Vuoi dire che nel  Machtquanta le opposizioni non reggono più?

LE – Proprio così.  Machtquanta vuol dire che dov’è c’è l’uno, c’è anche l’altro. Ma non nella forma oppositiva dell’uno di fronte all’altro. Non nella forma del fronte, del fronte a fronte.

MC – Nel  Machtquanta finisce il fronte, finisce la lotta intesa come lotta di frontiera.

LE – Si. Finiscono tutte le banali opposizioni rassicuranti. Come l’opposizione Musica vera vs musica di plastica; musicisti veri e propri vs Dj.

MC – Ma non ricadiamo sempre nel post-moderno, per il quale niente fa più la differenza, e ogni cosa è uguale ad ogni altra, proprio perché diversa dall’altra, e dove, alla fine, la diversità diventa l’ultimo baluardo dell’omologazione?

LE – Mi ricorda il motto degli anni cinquanta del pubblicitario Mayer: In un mondo dove la gratificazione privata sembra il valore supremo, tutti i gatti sono grigi.

MC – ?

LE – Finiscono le opposizioni banali, le opposizioni controllate, quelle dove non ci son mezze misure, dove non ci sono personaggi ambigui, dove tutto, all’apparenza, è diviso con precisione chirurgia, come in un laboratorio, come un campo di calcio, o come alle olimpiadi e nella geopolitica, dove da una parte ci siamo noi, e dalla parte opposta ci sono loro. Il fatto è che Marx, Nietzsche e Freud hanno messo in discussione proprio la solidità di quel noi, la solidità dell’io, la solidità di una nazione, di un popolo, perfino la solidità di una classe, dell’atomo e del numerale, figurarsi delle frontiere.

MC – Tutta sta filippica per dire che Coccoluto non è un replicante ma è un artista? che non sta lì a mettere dischi come una macchina attraccata ad una macchina, ma che crea musica? che Inventa una cosa che prima non c’era?

LE – Coccoluto si difende da sé – è un grande. A tredici anni era un Dj radiofonico, e a 15 suonava dischi nei Club di Formia.

MC – Però la svolta è arrivata con la cassettina.

LE – Una amico gli portò una cassettina registrata alla Bai dei Porci.

MC – Bai degli Angeli.

LE – Ops!

MC – La discoteca di Gabbicce. Il santuario della club culture.

LE – Dopo aver ascoltato la cassettina, dice Coccoluto, la mia passione per il rock andò in crisi. Mi trovai difronte all’ignoto. Non riconoscevo i brani, una miscela di funky, citazioni elettroniche, ritmo e atmosfere etniche. Riuscivo a malapena a decifrare una frase dei Tangerine Dream o un beat dai Kraftwerk. In mezzo un mondo sonoro misterioso, che mi affascinava.
L’aspetto più interessane, continua Coccoluto, era l’apparente incoerenza del materiale mixato. Sembrava come se la musica non provenisse dallo stesso archivio, come se i Dj avessero accostato i brani lasciandosi trascinare dal caos. Ero di fronte al primo, vero (forse irripetibile) fenomeno di culto: la nascita della Club Culture, come la intendiamo oggi. Moz Art e Daniele Bandelli avevano creato esattamente quello che cercavo.

MC – Coccoluto veniva dal Rock. Alla radio programmava Roxanne dei Police e i Talking Heads.

LE – I  Talking Heads sono stati una tappa fondamentale nella fomentazione di Coccoluto. Brani come Psycho Killer, I-Zimbra, Take Me to the River erano freschi, nuovi, strani, crudi, funky. Ma la folgorazione arriva con l’album Remain in light del 1980, prodotto da Brian Eno, allora noto, dice Coccoluto, per la sua delirante teoria, una teoria trasformatasi in realtà totale, anche per le galline di allevamento: la necessità di inondare musicalmente gli ambienti vitali. Secondo Eno, dice Coccoluto, aeroporti, stazioni, supermercati (e persino allevamenti di animali) avrebbero dovuto avere la propria colonna sonora specifica, a vantaggio della psiche e della produttività di quei luoghi.
L’album, dice Coccoluto, colpiva gli occhi. La copertina era wharoliana. All’ascolto, già da Born under Punches ho avuto la sensazione del nuovo assoluto, del mai sentito, la vertigine del vuoto. Quella musica non somigliava a nulla, se non alla somma di sensazioni disparate, per tempi e luoghi, in un mix di flussi sonori, eccetera. Per me è l’album del secolo.

MC – Poi c’è stato l’Easy Light di Frosinone, dove, dice Coccoluto, ho espresso la mia vocazione dance tecnologica: sequenzer, batterie elettroniche, tutto quello che i musicisti non utilizzavano, convinti che la purezza del suono fosse negli strumenti tradizionali.

LE – Che stronzata romantica, aristocratica, elitaria, e alla fin fine burina, questa avversione per la tecnologia, per l’House music, e per l’elettrodomestico popolare. Al fondo c’è sempre l’idea un po’ Rousseauiana, un po’ schilleriana, e un po’ consumistica – ma di nicchia – che tecnologia =  ripetizione, che tecnologia = Mimesi. Mentre arte, sempre nel senso romantico, è genio, è individualità, è unità, è irripetibilità, è aura. Tutte stronzata che già non valevano nel 1800. Marx le confuta una per una nel manifesto del partito comunista – vedi Marshall Berman, All That Is Solid Melts Into Air: The Experience of Modernity (1982).

MC –  All’Easy Light, dice Coccoluto, raccoglievo brani composti col campionatore. Erano macchine dai costi altissimi, in pochi potevano permettersele. Io acquistai l’Emulator 2, il campionatore più avanzato, e inizia a utilizzarlo durante le mie serate. Con l’Emulator potevo remixare brami di successo del momento, manipolarli e farli incontrare con il giradischi, proprio come facevano le star dell’afro.

LE – Poi passò all’Hysteria di Roma, insieme a Marco Trani, il club che negli anni Ottanta era ai vertici assoluti delle notti della capitale. E fu un’ulteriore scoperta: fusion, funk, eccetera.

MC – Poi è venuta Napoli, con il Cube, dove Coccoluto invitò David Morale, Todd Terry, Frankie Knuckles. Napoli diventò, nei tardi anni Ottanta, la tappa irrinunciabile del primo nomadismo dance, proprio come New York, Detroit, Londra.

LE – Poi passò al Light di Caserta.

MC –  Napoli rimarrà una tappa storica.
Nel 1991 si esibì al Palapartenone. Sul palco c’erano due consolle, al centro strumenti per un concerto, proiettori da 8 e 16 millimetri sovrapponevano e incrociavano immagini, mixaggi di diapositive si mischiavano con i suoni dei Dj. I rimandi andavano alle performance dei Velvet Underground e di Andy Warhol. Il suono era quello dell’Hacienda di Manchester, il club che aveva fatto nascere la Acid house, la new wave più radicale dei Joy Division e del Certain Ratio.
Napoli rimane sempre nella memoria come una delle capitali mondiali della Club Culture. Tutti i Dj protagonisti della dance mondiale sono venuti in Italia per la prima volta passando da Napoli. Nomi oggi considerati leggendari come Little Louie Vege, Todd Terry, Frankie Knuckles. Molti, ricorda Coccoluto, ci venivano a trovare da Londra addirittura solo per ballare, così come faceva  Adamsky e tutta l’ondata dell’acid house britannica.

LE – E poi c’erano gli ultrà del Napoli.

MC – Si c’erano i tifosi, che sul finire degli anni Ottanta erano diventati per Coccoluto e la Club Culture dei veri e propri PR ante litteram.

LE – E poi ci fu quello striscione esposto al San Paolo.

MC – SOLO COCCOLUTO PUÒ SALVARCI.

Articoli consigliati