Le scelte che guidano le nostre azioni non sono meno importanti delle azioni stesse, se non riusciamo ad agire, se i nostri pensieri sono bloccati, è molto probabile che vi siano difficoltà nell’effettuare le scelte.
Senonché, la scelta di proporre l’opera di J. Bruner è collegata all’esperienza che ha suscitato la sua rivisitazione: uscire da tutte quelle situazioni che producono un senso di claustrofilia e di conseguenza aprirsi alla mente degli altri, ponendo in essere il giusto grado di attivazione. Per di più, Bruner, in questo suo lavoro riesce ad esprimere al meglio i nessi che legano l’azione, la riflessione, la condivisione e la cultura.
L’autore parte dal presupposto che “Il comprendersi è connesso con la similarità delle forme di organizzazione mentale che usiamo nelle nostre transazioni. Ma possiamo contare su una continua taratura del linguaggio, che consiste in una serie di piccoli aggiustamenti e ritocchi dei nostri enunciati” (pag. 78)
Gli ostacoli sorgono quando incontriamo persone che non possiedono lo stesso livello di taratura, a tanti sarà capitato di interagire con degli stranieri che si esprimono con un registro linguistico completamente diverso dal nostro, ebbene, in queste circostanze è facile constatare che si possa regredire fino a un livello che sfiori la paranoia.
Nell’osservare i bambini durante il primo anno di vita si coglie che hanno la capacità di additare le cose e la capacità di seguire lo sguardo altrui; tutto ciò suggerisce che essi siano dotati di un supporto biologico, una predisposizione prelinguistica che gli faciliti un’iniziale referenza linguistica, ossia la funzione mediante la quale un segno linguistico rinvia al mondo reale o immaginario.
Tuttavia, Bruner sottolinea che il supporto biologico iniziale è insignificante, rispetto alla ricchezza espressiva che una persona media raggiunge con gli ulteriori sviluppi del linguaggio. La predisposizione prelinguistica è il congegno biologico che ci connette al linguaggio non verbale e successivamente a quello verbale. Come ha efficacemente spiegato G. Rizzolatti in un suo recente lavoro, Per una scienza dell’empatia, la compromissione del linguaggio nei soggetti con un grave disturbo dello spettro autistico è legata al mal funzionamento dei neuroni motori, per cause multifattoriali. Quindi, se è vero che il supporto biologico è di cruciale importanza, è anche vero che le sofisticate sottigliezze linguistiche si raggiungono mediante l’apprendimento e l’esperienza. Ecco la sintesi a cui perviene Rizzolatti nel libro qui sopra menzionato: “siamo lavagne su cui molto è già stato scritto, ma appare solo se la luce, ossia l’esperienza, le illumina.” (40)
Il contrasto fra l’aspetto biologico dell’apprendimento e quello ambientale (sociale) ha fatto divampare una serie di polemiche tra autori che si trovavano su posizioni diverse. Nel suo lavoro, Rizzolatti, accenna a quella tra B. Skinner – famoso esponente della scuola comportamentista – e N. Chomsky, il linguista americano. Quest’ultimo, nel 1959, sosteneva che la mente non era una tabula rasa come pensava il primo, che lo schema stimolo-risposta non spiegava il linguaggio umano, pertanto gli esperimenti di Skinner potevano essere adatti per piccioni e ratti da laboratorio.
In definitiva, se per Skinner l’apprendimento avveniva mediante il condizionamento operante di stimoli ambientali, per Chomsky, al contrario, gli stimoli esterni erano ininfluenti, in quanto, l’apprendimento era, in qualche modo, “iscritto in un programma biologico” (Rizzolatti, 44). In quella sede, Chomsky, formulò la tesi che l’essere umano per via dei suoi tratti biologici – diversamente dagli animali – era predisposto al linguaggio verbale.
Una diatriba del genere, ma con caratteristiche e circostanze diverse, si sviluppò tra Piaget e Wygotskij a proposito del linguaggio egocentrico del bambino. A dire il vero Piaget venne a conoscenza della messa in discussione della propria teoria negli anni 50 del secolo scorso, quando Wygotskij era ormai scomparso, quindi fece una replica postuma. Wygotskij asseriva che l’essere umano si distingueva dagli animali per la sua interazione con l’ambiente, mediante utensili e strumenti come il linguaggio.
Mentre per Piaget inizialmente il pensiero e il linguaggio sono egocentrici, cioè non comunicabili; per Viygotskij invece fin dall’inizio il linguaggio ha una funzione sociale e comunicativa. Successivamente esso assume anche una funzione intrapsichica, con la comparsa del linguaggio interiore. Anche in questa polemica è difficile individuare la sottigliezza dove si annida il problema. Stando al contrasto tra i due punti di vista si deduce che Piaget dia importanza all’aspetto biologico, mentre Wygotskij a quello sociale, per il primo la dinamica dello sviluppo del linguaggio parte dall’interno verso l’esterno, per il secondo dall’esterno verso l’interno.
La capacità di Bruner sta proprio nell’individuare una sintesi di questo. contrasto, facendo pendere la bilancia dalla parte di Wygotskij. Infatti, dopo una serie di ricerche, Bruner, giunge alla conclusione che” quella specie di dispositivo innato di apprendimento linguistico che aiuta i membri della nostra specie a penetrare nel linguaggio non può funzionare se non in virtù della presenza di un sistema di supporto all’apprendimento linguistico; tale sistema è fornito dal mondo sociale ed è in qualche modo, ma regolarmente, in armonia con il sistema di apprendimento linguistico.” (pag.96)
In occasione del Congresso di Montreal, nel 1954, Bruner notò qualcosa di anomalo nel modo in cui comunicavano i colleghi russi: iniziavano l’interazione con una genuflessione nei confronti di Pavlov e passavano con un salto, di punto in bianco, alle indagini sull’attenzione e il problem solving.
In questa circostanza sentì parlare di Wygotskij e venne a conoscenza del secondo sistema di segnalazione, cioè del modo in cui: «il linguaggio influenza il mondo o il mondo così come viene elaborato mediante il linguaggio, anziché mediante i sensi.» ( 87)
In uno degli incontri informali, durante il congresso, Bruner venne a contatto con gli studiosi russi, i quali accennavano alla teoria della zona dello sviluppo prossimale, elaborata da Wygotskij, nonché del ruolo che aveva in tutto ciò il secondo sistema di segnalazione.
Occorre precisare che con il primo sistema di segnalazione si intende dire che la comprensione avviene mediante i sensi, mentre il secondo si riferisce al mondo codificato nel linguaggio e rappresenta la natura così com’è stata trasformata dalla storia e dalla cultura.
Sebbene quest’ultimo concetto fosse stato coniato da Pavlov, in realtà non lavorò nella direzione per valorizzarlo. Cosa che invece fece Vygotsky con i suoi brillanti collaboratori.
A questo punto, forse, per facilitare la comprensione di questa vicenda al lettore, vale la pena ricordare che Il secondo sistema di segnalazione rappresenta, da un punto di vista marxista, il veicolo ideale per superare il vecchio Pavlov, pur mantenendo nei suoi confronti il rispetto religioso che si riserva ad un’icona.
Del resto, come ci fa notare Bruner, “la premessa più importante nella teoria di Vygotsky , marxista convinto e avanti coi tempi, è l’idea che l’uomo è soggetto al gioco dialettico tra natura e storia, tra le qualità che possiede come creatura della biologia e quelle che gli appartengono come prodotto della cultura” (pag. 28)
L’opera di Vygotskij ebbe una discreta diffusione in Russia, nonostante fosse stata bandita. Egli fu accusato di idealismo borghese per aver assegnato un peso determinante all’attività mentale. In quel periodo, in Russia, il dibattito sulla coscienza mostrava molti nervi scoperti e le autorità giudicarono il suo lavoro troppo mentalista, idealista.
L’edizione in inglese del libro di Wygotskij, Pensiero e linguaggio, fu redatta nel 1962, in seguito all’incontro che Bruner ebbe con Luria, amico e stretto collaboratore dello studioso russo. Lo psicologo americano fu lieto di scrivere l’introduzione al libro di un autore che considerava un genio, gli piaceva il suo strumentalismo, il suo modo d’interpretare il pensiero e il linguaggio come strumenti per programmare e per dare corso all’azione.
Per Vygotskij, come per Dewey, il linguaggio è un modo per mettere ordine ai propri pensieri riguardanti la realtà; e il pensiero è un modo per organizzare la percezione e l’azione.
Il linguaggio come mezzo di scambio
Uno dei capisaldi della teoria che Bruner esplica in questo suo libro, la Mente a più dimensioni, è che tra l’insieme dei pensieri, delle azioni e delle emozioni, non ci sono confini rigidi; se si segue un approccio diverso, si finisce con il creare dei ponti concettuali tra ciò che non si sarebbe mai dovuto separare.
Il pensiero è un’astrazione molto sofisticata e in contrasto con l’attività irrazionale e «contaminata» della passione.
Logici e filosofi antichi nutrivano la speranza di scoprire un modo per eliminare la “pula dell’irrazionalità dal grano della ragione” (132)
Essi finirono, però, con il formulare in modo sempre più minuto le regole della retta ragione, invece di descrivere in modo più dettagliato l’attività del pensiero stesso o delle emozioni.
In breve non esisteva alcuna psicologia del pensiero, ma solo la logica e la descrizione dei suoi usi scorretti o degli errori, senza individuarne la radice.
I logici studiano gli errori, i retorici studiano i modi per irretire la gente in quegli errori.
Noi conosciamo il mondo in modi diversi e da diverse posizioni e le diverse prospettive che siamo in grado di assumere sono guidate da una logica interna, non sono conformi alla retta ragione, ma si basano su dei principi.
Abbiamo una tara, dei filtri con cui analizziamo e selezioniamo le informazioni. I nostri incontri con il mondo non sono diretti, anche le esperienze dirette sono filtrate, il filtro interpretativo dei nostri concetti, delle nostre idee, sicché il mondo che ne emerge è un mondo concettuale.
Il nostro modo di rappresentare il mondo, quindi, non è avulso da questi filtri, da principi interni che vagliano ciò che può essere accettato come input.
In ogni caso, non è solo una questione di criteri di organizzazione con i quali selezioniamo i dati, ci sono anche una serie di limiti che dipendono dal sistema operativo.
Come scrive, a tal proposito, R. Woodworth nel lontano 1947: “il modo in cui guardiamo e ascoltiamo è plasmato dalle nostre attese, dalle nostre posizioni e dalle nostre intenzioni”. Renforcement of perception, in «American Journal of pychology» N. 60.
Il discorso diventa più complesso, se si prende in considerazione che anche la cultura gioca un ruolo selettivo.
La cultura è intesa da Bruner come un forum: essa vive un processo di rielaborazione costante, in quanto viene costantemente interpretata e rinegoziata dai suoi membri; è composta da continue negoziazioni, ma anche da un insieme di regole e di indicazioni per l’azione stessa.
Ogni cultura crea le proprie istituzioni necessarie per esplicare la funzione di forum; in questo processo trovano spazio l’arte, la scienza, il teatro, ecc., ma un ruolo decisivo dovrebbe essere svolto dall’educazione. Succede, non di rado, che i membri di una determinata cultura si limitino a svolgere passivamente dei compiti che gli vengono assegnati e finiscono per trasformare le loro relazioni reciproche in una sorta di camicia di forza.
In quest’ultima circostanza le istituzioni diventano come dei solidi cristalli e gli individui che ne fanno parte non sperimentano la possibilità di effettuare degli aggiustamenti interpersonali nelle loro interazioni reciproche. Anzi, ci si chiude nel proprio mondo, nel proprio modo di percepire l’esperienza e si finisce “per costruire delle realtà sociali fatte di cemento e di pietre come le prigioni.”(136)
Se si adotta, invece, la concezione che “la cultura è un testo ambiguo che ha costantemente bisogno di essere interpretato da coloro che ne fanno parte, allora il ruolo del linguaggio nella creazione della realtà sociale diventa un tema di interesse pratico.” (150)
Il linguaggio non è neutrale, esso impone un punto di vista non solo sul mondo a cui si riferisce, ma anche sull’impiego della mente nei confronti del mondo; trasmette una prospettiva, è uno strumento.
Bruner, per ribadire l’importanza del linguaggio utilizza il concetto elaborato da Bacone e ripreso da Wygotskij: “da sole la mente e la mano possono fare ben poco senza i sussidi e gli strumenti che le completano.” (150).
Le realtà della vita sociale sono esse stesse, il più delle volte, prodotti dell’uso linguistico rappresentati da atti linguistici come il promettere, il legittimare, il determinare e così via. Gli atti linguistici possono essere compiuti solo mediante il linguaggio. La promessa ne è un esempio tipico e quando si viene meno ad essa, un sentimento di vergogna affiora sul viso della persona che l’ha fatta, come per indicare che l’emozione che accompagna il linguaggio non può essere nascosta, taciuta.
L’atto linguistico è importante in quanto senza di esso non ci sarebbe né il venir meno della promessa, con la sua realtà che l’ha generata, né il suo corrispettivo effettivo di vergogna.
Ma le relazioni sociali che scaturiscono dagli atti linguistici non “sono pietre nelle quali inciampiamo, né possono produrre ematomi se le prendiamo a calci, sono i significati a cui gli uomini pervengono mettendo in comune le proprie conoscenze.” (151)
Dunque, Bruner ha elaborato un approccio di tipo negoziale, transazionale, per lui i concetti sociali risiedono nelle negoziazioni interpersonali, ma per produrre effetti significativi sulla prassi educativa, gli individui che, di volta in volta, entrano in relazione devono trovare un linguaggio comune. L’opera di Wygotskij ha rappresentato un primo passo in questa direzione, al momento, però, sembrano prevalere gli approcci tradizionali che si basano su premi e castighi, crediti e debiti, utili e perdite.
Solo recentemente si è iniziato a sperimentare, ma con un basso livello di diffusione, un approccio che si basa sui bisogni di un soggetto autonomo che impara.
A quest’ultimo metodo ha contribuito Freud, in virtù dell’importanza da lui data all’autonomia di funzionamento dell’io e al suo affrancamento dagli impulsi eccessivi e conflittuali, così come vi ha contribuito Piaget per ciò che concerne l’apprendimento per invenzione. Tuttavia, come dice Bruner, manca una teoria dell’apprendimento che miri ad esplicitare, “che traduca in assiomi pedagogici il processo sociale di negoziazione del significato”, che dia seguito, in qualche modo, al discorso impostato da Wygotskij quasi un secolo fa.